Prevalentemente l’altipiano del Tibet offre poco per sopravvivere, questo si riflette nello stile di vita della maggioranza dei tibetani, che sono agricoltori oppure nomadi o mercanti di commercio oltre l’Himalaya per vendere sale e per importare farina e altri prodotti con le famose carovane di Yak, oggi in gran parte sostituite da treno e camion.
Tuttavia molti erano i tibetani che vivevano di pastorizia ed hanno fatto del nomadismo la loro religione di vita. Eppure, nonostante gli anni moderni i “dropka” vogliono conservare le loro tradizioni e lo stato rispetta questa scelta di vita.
I nomadi tibetani seguono ancora al giorno d’oggi lo stile di vita dei loro antenati, vivendo nelle tende o come seminomadi in villaggi temporanei stagionali. Si dedicano principalmente al pascolo degli yak, l’animale simbolo delle montagne himalayane. Altri si dedicano al commercio scambiando sale, lana e burro con altre risorse, non reperibili sull’altopiano, come il riso e il te. Sono famose le carovane del sale che attraversano l’Himalaya per andare a sud verso Nepal, Sikkim, Bhutan e Ladakh.
Questi tipi di scambi furono limitati dopo l’annessione alla Cina, creando grossi problemi economici ai nomadi, ma fortunatamente queste restrizioni sono state parzialmente revocate negli ultimi anni, sostenendo le micro-economie di frontiera.
Altro discorso per i nomadi delle grande praterie, dove il governo sostiene iniziative al fine di raggrupparli in nuovi villaggi lungo le strade, trovando molta resistenza dai Dropka, che non intendono cambiare la loro vita con quella nei villaggi dove, persa la fonte di sostentamento, neppure si trova un lavoro.