Per comprendere una cultura, bisogna parlare la lingua di quel popolo. Ma che lingua è quella tibetana? Come si articola? Partiamo quindi dal principio, ovvero dall’alfabeto e dalle sue origini. Molti sono gli appassionati che si approcciano per mero amore della cultura allo studio della lingua tibetana, per meglio assaporare quell’universo mistico che ancora oggi circonda il tetto del mondo.
Le origini della lingua tibetana scritta risalgono al periodo della prima introduzione del buddismo in Tibet. Secondo la tradizione, il re Songtsen Gampo inviò nel Kashmir ed il suo primo ministro, Thönmi Sambhata, intorno la prima metà del VII° secolo dopo Cristo, per studiare il sanscrito e la letteratura buddista, introdussero l’alfabeto. Nella fattispecie Thönmi Sambhata,al suo ritorno dall’India, inventò e compose la prima grammatica in lingua tibetana.
L’alfabeto tibetano è composto da trenta caratteri, derivati dalle cinquanta lettere degli alfabeti indiani di quell’epoca, ed è caratterizzato, dal punto di vista grafico, da un’elegante accentuazione delle linee curve. Trenta sono quindi le consonanti mentre per quanto riguarda le vocali bisogna fare una differenziazione ben precisa. Se il suono vocalico “a” rimane incluso nelle consonanti stesse, invece i rimanenti quattro suoni vocalici (i, u, e, o) vengono scritte separatamente, sopra o sotto la lettera, ognuna con un segno diverso corrispondente ad un suono vocalico differente.
In linea con quella indiana, la scrittura tibetana è di tipo sillabica, contraddistinta da segni specifici per i diversi timbri vocalici e procede, fatta eccezione per alcune sillabe o complessi consonantici, orizzontalmente da sinistra a destra.
L’alfabeto tibetano è utilizzato anche per scrivere lo dzongkha (རྫོང་ཁ་ rdzong-kha, letteralmente “lingua della fortezza”) che è la lingua ufficiale del Regno del Bhutan, nonché è possibile trovarlo anche in Nepal. Altra cosa importante è imparare la traslitterazione in caratteri latini, non concentrandosi soltanto sulla semplice pronuncia. In particolare se ci si vuole dedicare al tibetano classico si troveranno infatti moltissimi testi soltanto traslitterati (anche grammatiche).
Di qui una piccola curiosità. Come tutti i registri linguistici, anche in tibetano esiste una differenza tra il codice linguistico scritto e quello orale. E’ così dell’italiano, nel cinese, nell’indiano e così via, ma nel tibetano questa differenza è ancora più accentuata, diventando il vero problema dell’apprendimento di questa lingua. Se il registro orale si è andato via via ad evolversi, il tibetana scritto è rimasto pressoché immutato per secoli. Non è quindi inusuale imbattersi in alcune traslitterazioni di lettere che sono sì scritte, ma non pronunciate.