UN’ANTICA ARTE DI DIVINAZIONE, ALLA SCOPERTA DEL “MO”

  • by Redazione
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  • 27 Gen 2021
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La pratica della divinazione venne scoraggiata dal Buddha nei Sutra e pertanto nel Buddhismo antico è ufficialmente vietata ai monaci (anche se oggigiorno molti monaci theravada la praticano, nonostante questo chiaro rifiuto del Buddha). Sopratutto nel caso in cui questa rappresenti una fonte di guadagno viene considerata un mezzo di sostentamento non corretto, ma la situazione si ribalta nei Tantra che, notoriamente, sono intrisi di pratiche magiche di ogni tipo. Il Buddhismo Tibetano pertanto ne fa largo uso, sia perché si tratta di un Buddhismo fondato sui Tantra, sia perché a questo va aggiunto l’influenza della religione Bön  pre-buddhista dai caratteri sciamanisti, dove pratiche divinatorie erano sicuramente incluse.

Anche al giorno d’oggi i tibetani fanno largo uso di responsi divinatori quando devono prendere importanti scelte nella loro vita, relative ad esempio ad accordi di lavoro o persino la data del matrimonio. La divinizzazione viene utilizzata anche in caso di malattia ed i diversi “esperti divinatori” vengono chiamati per produrre tutti quei riti più opportuni per garantire una pronta guarigione. Pensate che in Tibet viene sentito il parere di un indovino anche quando bisogna compiere un viaggio importante! Ma non chiamatela superstizione, questo fa parte dell’animo più profondo del substrato culturale tibetano.

COME FUNZIONA LA DIVINAZIONE BUDDHISTA?

Reinterpretando le pratiche divinatorie nel contesto della filosofia buddhista, si suole dire in ambito tibetano che queste funzionano grazie ad uno dei principi fondanti dell’ontologia buddhista, ovvero quello dell’interdipendenza (tendrel). E’ grazie alla natura interdipendente di tutti i fenomeni, in altre parole grazie al fatto che tutto è connesso, che un responso divinatorio può correttamente prevedere il futuro se compiuto nel contesto di un rito. Inoltre, solitamente ogni pratica divinatoria è associata ad una Divinità che viene invocata e di cui si recita il mantra. In questo caso ovviamente la qualità della pratica e quindi la realizzazione del divinante inficerà il risultato della divinazione. Più una persona è ritenuta essere realizzata o connessa alla Divinità a cui è dedicato il rito e più il suo responso è considerato affidabile. Il fatto poi che il fondamento teoretico della divinazione è considerato essere l’interdipendenza porta in molte pratiche divinatorie a includere la recitazione del mantra dell’interdipendenza, ovvero: «Om Ye Dharma Hetu-Prabhava Hetum Tesham Tathagato Hyavadat Tesham Cha Yo Niroda Evam Vadi Mahashramana Svaha»

Le Divinità più importanti associate a pratiche di divinazione sono Manjushri (non caso il Buddha della Conoscenza), Palden Lhamo e Dorje Yudronma, ma ci sono sistemi che utilizzano anche altre divinità. Spesso per acquisire la siddhi (ovvero il potere) di compiere correttamente la divinazione si pratica l’accumulazione del mantra della Divinità relativa: solitamente si recita il mantra per almeno un milione di volte, spesso durante un ritiro.

Le divinazioni si utilizzano spesso anche per riconoscere la reincarnazione dei Lama più importanti (ovvero i tulku). In questo caso il metodo considerato essere più affidabile è quello in cui si scrivono i nomi dei potenziali candidati in piccoli pezzi di carta e questi si mettono dentro un impasto a forma sferica. Dopo di che si collocano queste sfere dentro un’urna, solitamente davanti ad un oggetto sacro come un reliquiario o una Statua importante dentro un monastero, e dopo una preparazione di tre giorni in cui la comunità monastica recita delle preghiere si estrae a sorte una di queste sfere con il nome del candidato corretto. Questo è precisamente il metodo impiegato davanti alla statua di Jowo a Lhasa con la quale sono stati riconosciuti alcuni passati Dalai Lama e Panchen Lama, tra cui il Panchen Lama attuale supportato dal Governo Cinese. Il problema di questo metodo è che richiede una preparazione troppo lunga e pertanto è poco versatile: in altre parole si usa solo in circostanze particolarmente importanti.

I METODI DI DIVINAZIONE

I metodi di divinazione solitamente usati invece sono tre: quello con il dado, quello con la mala e quello con lo specchio. Nel primo metodo si utilizza un dado in cui per ogni faccia dello stesso si iscrivono delle sillabe seme. Ad esempio le varie sillabe che compongono il mantra di Manjushri: Om Ah Ra Pa Za Na Dhi. Poi dopo aver pregato i Tre Gioielli, Manjushri e dopo aver recitato il mantra dell’interdipendenza e della divinità si soffia sul dado e lo si lancia. La faccia che esce è associata ad una serie di significati, positivi o negativi. Esistono specifici manuali di pratiche che si possono consultare per imparare il metodo (ne è stato anche pubblicato uno del famoso Mipham Rinpoche tradotto in lingua italiana da Amrita Edizioni per volere del Sakya Trizin).

Il secondo metodo utilizza la mala, ovvero quel rosario che si usa per contare le preghiere o i mantra. Si utilizza la classica mala da 108 grani e dopo aver recitato il mantra della Divinità si prendono due semi a caso. Poi si avvicinano le dita saltando tre semi per volta, fino a quando non resteranno tra le dita delle due mani soltanto tre possibilità: un seme, due semi o tre semi. Il responso di un seme è chiamato Falco, quello di due semi è chiamato Corvo e l’ultimo è chiamato Leone di Neve. Il Falco è di buon auspicio, il Corvo di cattivo auspicio mentre il Leone di Neve ha un significato neutro.

L’ultimo metodo utilizza lo specchio (che i tibetani chiamano melong) ed ha una chiara provenienza sciamanica. Molto importanti sopratutto nello Sciamanesimo Siberiano e Mongolo, l’origine dell’uso rituale di questi specchi va ritrovato in Cina (ancora oggi si usano molto nel Feng Shui). I melong hanno molti utilizzi a livello rituale, ma in questo caso specifico lo scopo è divinatorio. La Divinità di questo metodo è solitamente Dorje Yudronma, una divinità protettrice del Tibet che nelle raffigurazioni tradizionali tiene una freccia di cinque colori in una mano e uno specchio argentato nell’altra. Dopo aver purificato il melong e dopo aver invocato la Divinità si guarda nello specchio aspettando che nella visione sorgano delle immagini la cui interpretazione costituirà una risposta al quesito posto. Sono pochi i Lama che si considerano avere il potere di utilizzare questo metodo, pertanto solitamente si utilizzano dei bambini vergini di non più di 15 anni.