DA DOVE DERIVA IL TERMINE “LAMAISMO”?

  • by michele
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  • 18 Feb 2017
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Negli ultimi anni la letteratura concorda sul fatto che per quanto riguarda il Tibet non si può affatto parlare coerentemente di un unico corpo dottrinario che unisca le differenti scuole lamaiste locali e una religiosità popolare diffusa in cui continuano ad innestarsi elementi sincretici derivanti dalle tradizioni bon e sciamaniche.  Tuttavia è risaputo che il Buddismo, contrariamente alle grande religione monoteistiche occidentali, per volere espresso del Buddha, è totalmente scevro di alcuna gerarchia, questo perché i discepoli “devono liberamente e secondo interpretazione veicolare il messaggio del Buddha”. Per questa ragione nacquero numerose scuole non solo in Cina, ma anche i Corea, Giappone, India, Cambogia e così via.  Posto ciò, cosa intendiamo con lamaismo e buddismo lamaista?

A riguardo il grande studioso Giuseppe Tucci curò la voce “lamaismo” già nell’edizione del 1933 dell’Enciclopedia Treccani. In quell’occasione, Tucci così si espresse a proposito della religione tibetana: «La parola è ormai diventata d’uso generale per indicare il buddhismo tibetano. Essa deriva da bLama “maestro”, appellativo usuale e onori co con cui ogni tibetano laico designa i monaci. Ma negli ambienti religiosi “lama” può chiamarsi soltanto chi è notoriamente arrivato a un alto grado di santità e dottrina ed è perciò in grado di comunicare agli altri le sue esperienze o la sua sapienza. Si è convenuto dare questo nome di lamaismo alla religione tibetana e per sottolineare il carattere prevalentemente magico che essa a prima vista presenta e per contrapporre il buddismo tibetano a quello indiano, che ancora prospera nei conventi di Ceylon. Occorre però notare che quella contrapposizione ha scarso valore perché il buddismo tibetano continua le tradizioni non già del “piccolo veicolo” (hīnayāna), che sopravvive a Ceylon, ma del “grande veicolo” (mahāyāna) di cui esso è derivazione diretta, e che inoltre il lamaismo non si riduce soltanto a semplice magia ed esoterismo, ma degnamente perpetua le tradizioni esegetiche e dogmatiche delle grandi università indiane. Fino a oggi si è data troppa importanza alle manifestazioni popolari e spesso anche degeneri del lamaismo, mentre si è trascurata la parte dottrinale che esso pure contiene, e della ritualistica tibetana, che del resto quasi in nulla si differenzia da quella indiana, si è vista soltanto la forma esteriore e poco si è compreso della sua significazione reale e del suo contenuto simbolico e mistico. Sono dunque due gli aspetti principali sotto cui ci si presenta il lamaismo, e conviene tenerli ben separati, perché non si corra il rischio di giudicare imperfettamente tutte quante le manifestazioni di questa religione. L’aspetto popolare non si presta ancora a una descrizione completa, perché è vivo nella pratica anziché codificato o sistemato in un corpo di dottrine, e perciò necessariamente vario. Possiamo soltanto dire che esso conserva e accoglie molti culti e credenze e riti e persino deità, oggi più o meno trasfigurate in veste buddistica, della primitiva religione dei bon po. Questa religione sistemata, specialmente, nel Tibet occidentale (Guge), per opera del riformatore gŠen rabs subì in tale sua formulazione de nitiva larghi influssi indiani e anche iranici, forse dopo l’introduzione del buddismo nel Tibet; ma nella sua essenza è di origine antichissima e certo autoctona. Essa si riduce a un complesso animismo che popola di spiriti e demoni ogni passo di montagna, la terra (sa bdag), i umi (klu) e le sorgenti: sono tutte deità nocive e irascibili che conviene in vario modo propiziare, molte volte anche con sacri ci cruenti e persino umani, 

come no a poco tempo fa si costumava nell’alta valle della Sutlej e come ne resta traccia in molta ritualistica simbolica delle feste religiose tibetane». Alcune considerazioni. Per prima cosa Tucci ammette una sinonimia completa tra i termini lamaismo e Buddhismo tibetano; inoltre lo studioso italiano focalizza ala sua attenzione sul come questa versione del Buddhismo, il cosiddetto vajrayāna che risulta essere più prossimo alla corrente mahāyāna rispetto a quella hīnayāna , sia intrisa di elementi magici, esoterici e mistici, propri della tradizione aborigena sciamanica dell’altopiano. Altro elemento di fondamentale importanza  è quello rispetto alla centralità della gerarchia “ecclesiastica” di questa corrente buddhista. In Tibet il ruolo del lama, maestro, caratterizzava non solo la vita spirituale, ma anche quella secolare trasformando l’architettura sociale sul calco di un modello essenzialmente teocratico.

In epoca imperiale, Il Buddhismo tibetano è chiamato lamaismo proprio dal termine lama. Il potere teocratico del lamaismo si esercitava attraverso una comunità fortemente gerarchizzata a capo della quale sono due Lama: il Dalai Lama (ovvero maestro che è oceano di saggezza e vero monarca del regno tibetano) e il Pan c’en-Lama (una sorta di vicario e primo ministro). Il primo risiedeva nel Palazzo del Potala a Lhasa e deteneva il potere supremo assoluto sul Tibet; il secondo invece dimorava nel monastero di Ta-shi-lhum-po e deteneva il potere spirituale. Tornando al testo di Tucci, si può senza dubbio affermare che esso risulti ancora oggi una guida completa non solo dei fenomeni religiosi e spirituali dell’area tibetana, ma anche per meglio comprendere cosa e perché noi chiamiamo il buddismo tibetano, buddismo lamaista.