Come consigliatogli da Guru Marpa, prima di tornare nella sua abitazione Milarepa passò da Lama Ngogdun-Chodur per confrontare i loro appunti. Facendolo, si resero conto che Lama Ngogdun aveva più conoscenze di Milarepa per quel che riguarda la ritualistica e la sua applicazione nella vita quotidiana, invece Milarepa ne aveva di più per quel che riguarda gli insegnamenti più esoterici passati da bocca a orecchio.
Milarepa poi continuò il suo viaggio fino al ritorno nel villaggio natale. Lì, senza dire chi fosse, chiese di sua madre e della sua vecchia casa, ed un abitante del villaggio gli raccontò tutto ciò che sapeva: la casa era abbandonata da anni ed era piena di spiriti maligni; nessuno si osa persino a guardare nella sua direzione, perché il figlio di quella famiglia per vendicarsi dell’usurpazione delle proprietà dagli zii paterni ha praticato magia nera e tutti hanno paura delle sue Divinità tutelari; su questo mago nero non hanno avuto altre notizie e sospettano che sia morto; la madre è invece morta da otto anni, ed il suo cadavere è ancora nella casa; la figlia invece, sorella di Milarepa, alla morte della madre ha abbandonato la casa in cerca di elemosine e non è più tornata.
Milarepa fu molto colpito dal racconto, ed andò a nascondersi in un angolo a piangere. Poi entrò nella casa, che era in condizioni pietose ed uguale al modo in cui la sognò. Lì dentro trovò delle ossa umane che riconobbe essere quelle della madre. L’emozione fu talmente forte che Milarepa rischiò di perdere la coscienza. Poi si riprese, e provò a connettersi spiritualmente allo spirito di sua madre e alle Divinità tutelari del lignaggio Kagyu per aiutarla. Realizzò il fatto di essere in grado di aiutare i propri genitori defunti ad uscire dalla prigione del samsara, poi entrò in samadhi per sette giorni e sette notti.
Questa esperienza indusse in lui un senso di rinuncia al mondo ancora più radicale di quella che già aveva.
Per aiutare sua madre, decise di recuperarne le ossa, polverizzarle e farne degli tsa tsa (statuette votive), mentre avrebbe utilizzato i fondi ottenuti dalla vendita dei libri sacri che aveva a casa come donazione per questa azione pia.
Per fare ciò Milarepa andò nella casa del suo vecchio maestro, ma lui era morto e trovò solo il figlio, a cui affidò il lavoro di creare gli tsa tsa. Il figlio del suo ex maestro, dopo aver saputo la sua storia, gli consigliò di rifare la sua vecchia casa, di sposare Zesay, la ragazza che gli era stata promessa in sposa da bambino, e di fare la vita spirituale di un Lama Nyingma, come capofamiglia.
Milarepa gli rispose che Marpa si sposò con l’obiettivo di servire gli altri, ma lui non può permettersi di imitarlo senza la sua purezza di intenti ed il suo potere spirituale; sarebbe come una lepre che tenta ti imitare il balzo di un leone, cosa che sicuramente lo porterà a precipitare nel caos della distruzione. Fare una vita di rinuncia è l’essenza del comando del suo Guru, e lui non trova altro piacere che in una vita di meditazione e devozione. Solo fare ciò porterà veramente a beneficiare tutti gli esseri senzienti, in particolare l’anima dei suoi genitori, ed un poco anche la sua.
“Dopo aver visto le rovine della mia casa e ciò che è rimasto delle proprietà che i miei genitori defunti possedevano, si è impresso indelebilmente nel mio cuore che gli obiettivi mondani sono privi di senso, e si è acceso un desiderio bruciante di dedicare la mia vita alla meditazione. Una vita di comodità può fare al caso di chi non ha sofferto come me, e di quelli il cui pensiero della morte e dell’inferno non si è imposto così forzatamente. Per quel che mi riguarda, le circostanze mi hanno convinto fermamente del bisogno vitale della devozione zelante e della meditazione profonda fino a che vivrò; e finanche nella morte stessa, nonostante l’esperienza della fame e della povertà”
Il giorno dopo, con qualche provvista datagli dal figlio del suo ex maestro, Milarepa si ritirò in una grotta che stava vicino alla sua vecchia casa. Le provviste venivano consumate in modo scarso affinché potessero durare di più; riuscì così ad andare avanti per qualche mese, in cui fece dei progressi nella devozione ma il suo corpo divenne debole e stanco.
Pensò quindi di scendere nell’accampamento vicino a chiedere l’elemosina, ma la sfortuna volle che entrò nella tenda della sua zia paterna, che lo riconobbe subito. Sua zia lo attaccò con una pietra, e poco dopo lo zio cercò di ucciderlo. Mentre stava per essere aggredito da lui e da altri abitanti del villaggio, per spaventarli li minacciò di praticare magia nera dicendo “Oh mio padre Marpa, o voi Guru della Setta Kagyupa, o voi miriadi di Divinità protettrici assetate di sangue! Sono un devoto e attaccato dai nemici. Aiutatemi e vendicatemi anche se dovessi morire!”. Dopo aver detto ciò, gli abitanti del villaggio si terrorizzarono e fermarono lo zio, facendo da mediatori.
Zesay, la ragazza cui era stato promesso sposo da piccolo, seppe della presenza di Milarepa nel villaggio ed andò da lui. Lei non si sposò mai, anche perché tutti avevano paura di chiederle la mano per paura delle Divinità tutelari di Milarepa. Zesay cercò di capire le intenzioni di Milarepa, ma quest’ultimo non aveva alcuna idea di ritornare a vita mondana sposandosi, neanche continuando a fare la vita religiosa di un Lama laico. La sua vita – Milarepa chiarificò – non ha nulla a che fare con quella degli altri religiosi che hanno imparato a memoria un paio di testi, si vestono con vesti gialle e rosse, e fanno una vita agiata per nutrire il proprio ego e sprofondare nei piaceri del samsara.
Dopo un riappacificamento fittizio, gli zii di Milarepa riuscirono nuovamente ad appropriarsi della proprietà di Milarepa, anche se ormai fatiscente. Prima la zia chiese il permesso di coltivare nella terra della sua vecchia casa, dandogli in cambio come provviste per la sua sopravvivenza una parte del raccolto. Poi, dopo che gli fece promettere che non avrebbe più praticato magia nera, la zia smise di dargli le provviste promesse. Però Milarepa non era più interessato ai possedimenti mondani e quindi glieli lasciò senza reagire.
Milarepa prese una decisione radicale. Con le ultime provviste della zia andò nella Caverna di Dragkar Taso e prese il voto che fino a che non avrebbe realizzato le Siddhi non sarebbe sceso più in alcun villaggio umano. “Se dovessi rompere questo voto – disse Milarepa – possano i Protettori prendersi la mia vita all’istante, e possa la grazia del Guru portarmi ad una rinascita migliore in cui farò una vita pienamente religiosa”.
Iniziò quindi il suo ascetismo più radicale. Per sopravvivere, mangiava ogni tanto un po’ di farina (proveniente dalla zia) mischiato a qualunque cibo riuscisse a trovare; la sua conoscenza della Mahamudra aumentava, però il suo corpo diventava sempre più debole e non riusciva così ad acquisire la padronanza delle energie interne e quindi del Tummo. Allora pregò ardentemente il suo Guru Marpa, ed ebbe una visione di alcune dakini mandategli da Marpa che lo istruirono su alcuni esercizi fisici e di respirazione; dopo averli fatti, il potere di padronanza delle energie interne iniziò a crescere nonostante lo scarso nutrimento.
Dopo tre anni, la sua conoscenza e realizzazione spirituale era enormemente aumentata, ma le provviste di farina stavano finendo. Si presentò un dilemma: se non fosse sceso nel villaggio sarebbe probabilmente morto di fame e non avrebbe quindi potuto raggiungere l’Illuminazione in quella vita; se fosse sceso però avrebbe rotto il suo voto.
Mentre pensava a cosa fare, trovò attorno alla sua grotta un luogo soleggiato con delle fonti d’acqua attorniato da campi di ortiche. Prese quindi una decisione estrema: sarebbe andato avanti mangiando solo ortiche.
Così fece, ma ciò lo rese nell’arco di qualche tempo estremamente magro, scheletrico, con la pelle ed i capelli che erano diventati di colore verde come le ortiche. Ancora oggi Milarepa viene spesso rappresentato di colore verde nell’arte tibetana in ricordo di questa sua forma estrema di ascetismo.
La sua forma fisica divenne simile a quella di un bhuta – uno spirito maligno – e come tale veniva a volta scambiato da quei pochi che nel corso degli anni successivi passavano da quel posto e lo vedevano.
Una volta andò da un lui un ladro che cercò di derubarlo; Milarepa gli disse “Come puoi trovare di giorno ciò che io non sono in grado di trovare di notte?”, ed il ladro se ne andò ovviamente a mani vuote.
Un’altra volta un cacciatore di passaggio, dopo essersi inizialmente spaventato perché lo credeva un bhuta, fu mosso a devozione nei suoi confronti per la sua grande dignità ascetica, e gli lasciò un po’ di carne. Milarepa la mangiò piano piano nei giorni successivi, e notò come la sua pratica incrementava incredibilmente di qualità.
Passò ancora molto tempo, e Peta, la sorella di Milarepa, incontrando Zesey, venne a sapere che Milarepa poteva essere ancora vivo ed andarono assieme a cercarlo nella grotta che gli era stata indicata. All’inizio lo scambiò per uno spirito maligno, ma poi lo riconobbero dalla voce. Decisero quindi di procurargli un vestito, dato che ormai era totalmente nudo, e gli portarono del chang e del buon cibo, tra cui della carne.
Inizialmente, dopo aver mangiato, Milarepa iniziò a sentirsi strano. Non era più in grado di meditare ed era molto distratto. Si iniziò anche a sentire fisicamente male, e quindi capì che quello era il momento di aprire quel rotolo che Marpa gli diede anni prima quando i due si lasciarono.
Nel rotolo Marpa, profetizzando quello che sarebbe accaduto a Milarepa, spiegò che era giunto per lui il momento di iniziare a mangiare del buon cibo; però, il suo corpo non era più abituato ed era estremamente debole. Il chang gli aveva sovraeccitato i nervi e non era stato in grado di gestire energeticamente il cibo che aveva assunto. Nel rotolo Marpa incluse degli esercizi e delle pratiche da fare per risolvere il problema, e facendole esso si risolse. La nuova energia che gli arrivava dal cibo sbloccò immediatamente la situazione stazionaria in cui Milarepa si trovava, si sbloccò il suo canale di energia centrale ed il Tummo – il Calore Interiore – si risvegliò in tutta la sua forza. La sua mente penetrò naturalmente nel Dharmakaya, realizzando l’inseparabilità di samsara e nirvana. Questa conoscenza trascendente era causata, come causa primaria, da tutte le pratiche spirituali fatte in precedenza, ma aveva bisogno di una situazione di crisi per esplodere, cosa che avvenne grazie al chang ed al cibo portatogli. In breve: Milarepa così raggiunse l’Illuminazione, e con essa tutte le siddhi ordinarie e straordinarie.