Darma Wudunten è stato un Imperatore del Tibet Antico, ricordato per essere stato assassinato in seguito all’avere perseguitato il Buddhismo Tibetano. Viene ricordato in modo dispregiativo con il nome di Langdarma, ovvero “Darma il Bue”.
Era il fratello di Ralpachen, e quest’ultimo viene considerato come uno dei Tre Re del Dharma della Dinastia Yarlung, assieme a Songtsen Gampo e a Trisong Detsen. Il Regno di Ralpachen fu fortemente buddhista e alla sua morte il potere passò a Langdarma. Le fonti buddhiste misero in forte contrapposizione Langdarma con la figura del fratello Ralpachen, e alcune di queste sostennero che Ralpachen venne ucciso da dei ministri Bon per essere sostituito dall’antibuddhista Langdarma. Tale narrativa sembra postuma e senza fondamento, e sulla base di diversi manoscritti l’ipotesi più veritiera è che Ralpachen sia morto semplicemente di malattia.
Langdarma governò presumibilmente dal 838 al 841 dC. In seguito alla sua morte l’impero tibetano si sfaldò a causa delle guerre civili, che portarono alla cosiddetta Era della Frammentazione.
Certamente Langdarma non aveva l’indole del grande Re, ed era più interessato a bere vino, alle battute di caccia e a gozzovigliare. Tuttavia, la pessima narrativa che è stata creata su di lui sembra semplicemente un modo da parte dei buddhisti di giustificare la sua uccisione.
Secondo la stragrande maggioranza degli storici, Langdarma non perseguitò il Buddhismo come venne successivamente detto, né esistono prove che lui seguisse la religione Bon, cosa che risulta anche abbastanza improbabile considerata l’adesione al Buddhismo di tutta la sua famiglia, figli e nipoti inclusi.
Langdarma, più probabilmente, venne ucciso semplicemente perché dopo un periodo di forte sostegno politico e finanziario al Buddhismo dato dal fratello Ralpachen, quest’ultimo cessò. I ministri di Langdarma tagliarono fortemente le spese utilizzate per il sostegno ai progetti buddhisti, alcuni dei quali restarono non ultimati. Ad esempio secondo le fonti buddhiste l’ultimo grande Tempio fatto commissionare da Ralpachen, Onchangdo, restò privo di un rituale di consacrazione.
Non ci sono prove però che il Buddhismo fosse veramente in declino in quel periodo; al contrario alcune fonti, come quelle ritrovate a Donhuang, sembrano suggerire che il Buddhismo rispetto alle epoche precedenti si era talmente espanso da essersi inflazionato (al punto che i tantrika potevano essere corrotti facilmente per ottenere favori magici e spirituali di vario tipo).
Ad uccidere Langdarma fu Lhalung Palgyi Dorje, nono abate di Samye. La tradizione narra che per compiere questa imboscata inventò uno stratagemma: indossò un soprabito di pelliccia nera ma foderato all’interno di bianco; il cavallo utilizzato poi era di colore bianco, ma venne colorato di nero con del carbone. Quando scoccò la sua freccia contro Langdarma, quindi, l’assassino era tutto nero, ma nel fuggire cambiò il lato del soprabito e passando attraverso un fiume, il cavallo si pulì e tornò ad essere bianco. In questo modo generò confusione e riuscì a fuggire.
Lhalung Palgyi Dorje venne poi divinizzato e venerato come protettore del Buddhismo. Secondo il mito, dopo tale regicidio si dedicò ad una vita di ascesi e raggiunse il Corpo di Arcobaleno, ovvero la Piena Illuminazione.
I buddhisti giustificano tale episodio secondo il principio derivante dalla tradizione Mahayana che il Bodhisattva per una causa spirituale superiore, in questo caso per proteggere il Dharma, può anche compiere azioni che normalmente sono considerati eticamente sbagliate, quali l’omicidio. Secondo altri interpreti però questa storia è soprattutto un modo di giustificare il tirannicidio.
La cattiva fama di Langdarma continua ancora oggi. Annualmente, durante alcune danze tibetane delle Maschere, viene creata una effigie di Langdarma in cui vengono trasferiti ritualmente gli spiriti negativi, e nel momento culminante l’effigie sacrificale viene uccisa. Ecco quindi che Langdarma non ha dovuto solo subire l’infausto destino dell’assassinio, ma continua ad essere maledetto, ancora e ancora, per l’eternità.