In Occidente tra i praticanti di yoga, e ci riferiamo in particolare allo yoga da palestra, privo delle componenti filosofiche, metafisiche e soteriologiche della tradizione yogica indiana, va di moda una pratica chiamata “I Cinque Riti Tibetani”, o semplicemente “I Cinque Tibetani”.
Questi cosiddetti “riti” sono oramai talmente famosi che ogni libreria ha venduto tra i propri scaffali, per decenni, libri o opuscoli che li descrivono. Questa pratica ha anche fatto nascere in certe persone un interesse genuino per il Tibet, se non fosse però che la sua origine sembra essere quasi completamente occidentale. Si tratta quindi di una invenzione moderna attribuita, erroneamente, al mondo tibetano. Vediamo perché.
L’arrivo negli anni ’30
Nessun Lama tibetano in realtà conosce tale pratica, ed essa non è rinvenibile nella sterminata letteratura tibetana. Ma quando i Cinque Tibetani iniziarono a diffondersi in Occidente, negli anni ’30, la conoscenza del mondo tibetano era molto scarsa: il Tibet era un mondo sconosciuto, misterioso e chiuso in se stesso, e questo ha permesso il diffondersi di questo e altri fraintendimenti.
Con ciò non si vuole giudicare l’eventuale bontà o efficacia salutistica delle pratiche in questione; d’altronde, il mondo della religione e della spiritualità ha visto miriadi di esempi di opere attribuite in modo postumo, e storicamente scorretto, a personaggi, scuole o tradizioni celebri; e qualche volta ciò non ne ha in alcun modo svalutato la grandezza (si pensi anche solo ai Dialoghi scritti da Platone, ma attribuiti a Socrate!).
Quindi di che si tratta, nello specifico?
Non si tratta di riti, nonostante il modo in cui comunemente sono stati definiti. Sono piuttosto pratiche – movimenti e posizioni – di natura fisica. Ciò che vi è più di simile nell’autentica tradizione tibetana è lo Yantra Yoga, popolarizzato in Occidente dal maestro tibetano Namkhai Norbu Rinpoche.
I Cinque Tibetani sono piuttosto una serie di cinque movimenti, creati, o per lo meno divulgati, da un autore conosciuto con il nome di Peter Kelder. Di Peter Kelder non si sa molto. Quando il primo testo contenente I Cinque Tibetani venne pubblicato – libro di nome The Eye of Revelation – Peter Kelder si presenta come una persona di famiglia olandese ma cresciuta negli USA e vivente vicino ad Hollywood. Era il 1932.
Il mistero sull’autore
Alcuni però ipotizzano che Peter Kelder fosse semplicemente uno pseudonimo e che l’autore quindi possa anche essere stato una donna. Quel che racconta relativamente all’origine dell’insegnamento però è questo: Kelder si trovava a svagarsi in un parco, quando venne avvicinato da un colonnello britannico in pensione chiamato Bradford, con cui sviluppò una frequentazione amichevole. Nei loro incontri, il colonnello Bradford gli disse di essersi ossessionato dalla ricerca dell’immortalità, in quanto quando era in servizio in India incontrò dei monaci tibetani che gli parlarono del fatto che il loro monastero conosceva il segreto dell’Eterna Giovinezza.
Il colonnello disse di aver l’intenzione di tornare in Oriente per cercare questo monastero, e offrì a Peter Kelder l’opportunità di unirsi in questa avventura; quest’ultimo però non ebbe il coraggio e declinò. Passarono quattro anni, e finalmente il colonnello Bradford tornò da Kelder, con la strabiliante differenza che il suo aspetto era ormai come quello di un adolescente. Così, il colonnello gli raccontò di essere stato in grado di trovare questo monastero e avere avuto accesso al segreto dell’eterna giovinezza, che consisteva in una serie di esercizi quotidiani aventi lo scopo di energizzare e mettere in rotazione i 7 chakra del corpo umano.
Fact Checking
Troviamo già qui una prova della mancanza di veridicità della storia: nel sistema del Buddhismo Tibetano i chakra del corpo sono cinque, non sette come nell’Hatha Yoga indiano.
Tali movimenti, i cosiddetti Cinque Tibetani, sono i seguenti:
- La Ruota: In piedi con le braccia sollevate all’altezza delle spalle si rotea in senso orario fino a che non si hanno delle vertigini
- L’Angolo: Sdraiati in posizione supina, contemporaneamente si alza la testa e le gambe verso il petto (le gambe formano un angolo retto)
- L’Arco: In ginocchio, si piega la testa prima in avanti e poi all’indietro, curvando anche la schiena.
- Il Ponte: Ci si siede a terra con le gambe distese in avanti e leggermente divaricate, e con il busto ad angolo retto. Si posizionano le punte dei piedi verso il soffitto e si mantengono le braccia lungo i fianchi con i palmi appoggiati a terra. Inspirando si alza il bacino formando un punte, ed espirando si torna alla posizione iniziale.
- La Montagna: Ci si siede a terra con le gambe distese in avanti e con il busto ad angolo retto. Si posizionano le punte dei piedi verso il soffitto e si mantengono le braccia lungo i fianchi, con i palmi appoggiati a terra. Inspirando si alza il bacino formando un ponte.
Bisogna mantenere le braccia tese, i glutei contratti e si flette la testa posteriormente. Espirando si torna nella posizione di partenza.
Nessuno è mai rimasto giovane praticando questi esercizi, e come già detto l’origine del testo è spuria. Non possiamo escludere però che la salute di qualcuno ne abbia giovato, essendo il movimento un’attività benefica per tutti. Ma non esiste alcun tibetologo al mondo che accetta la tesi che questi esercizi si siano veramente originati in Tibet. Però è bene conoscerli, perché i Cinque Tibetani hanno plasmato le idee diffuse nel mondo occidentale sul Tibet della prima parte del ventesimo secolo e forse più.