MITI E LEGGENDE: IL FASCINO DELLA LETTERATURA TIBETANA

  • by michele
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  • 23 Apr 2017
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La letteratura tibetana, benché quasi tutta incentrata su una matrice religiosa, presenta un fitto universo di storie e leggende tradizionali, ancora oggi tramandate da padre in figlio. Oggi vi presentiamo le storie riguardanti la nascita del mondo e l’arrivo in Tibet del grande sovrano Tsenpo.
Secondo una famosa leggenda tradizionale tibetana, la prima coppia ancestrale del Tibet sarebbe stata formata da uno scimmione della foresta e da un demone-donna delle rocce che avrebbero dato alla luce sei figli. La leggenda narra che “i nati da questa “mostruosa” unione, avrebbero ereditato dal padre un corpo coperto di peli e il volto rosso, dalla madre l’assenza della coda e il gusto della carne; per quanto riguarda il comportamento, dal padre alcuni avrebbero ereditato la fede, l’ardore, la saggezza e la bontà, altri avrebbero preso dalla madre il piacere di uccidere, la forza fisica e il coraggio. La loro unione sarebbe avvenuta dello Zothang (nello Yarlung, nel sud, la zona più fertile del paese), a sud dello Tsangpo. Non avendo né cibi né vesti, il dio Avalokitesvara, mosso da compassione, portò loro sei tipi di granaglie: nacquero i primi campi coltivati (a Zotang, nello Yarlung) e gli uomini-scimmia presero poco a poco sembianze umane. Le prime tribù (dai sei figli primordiali) si unì una settima tribù proveniente o dagli dèi luminosi del cielo o da un uovo primordiale da cui viene l’umanità“.  Come tutte le leggende, anche queste storie hanno un fondo di verità descrivendo, in modo fantastico, la nascita, le abitudini, i costumi e le tradizioni del popolo dell’Altopiano

La seconda storia che oggi vi proponiamo è l’ascesa al trono del leggendario re tibetano Nyathi Tsempo. La storia narra di come il monarca sia disceso sulla terra, con l’ausilio di una corda o una scala,, su una non meglio specificata montagna. questo re viene accolto da dodici capi o re indigeni che stanno celebrando atti di culto in onore della montagna. In opposizione ai dodici saggi che accolsero il primo re la tradizione tibetana parla di sette re (da parte di madre) che sarebbero dèi delegati in terra che restano sulla terra di giorno per poi ritornare in cielo di notte attraverso una corda e vi ritornano definitivamente nel momento della loro morte che coincide con il momento in cui il figlio è capace di guidare un cavallo (circa tredici anni). Quindi questo primo periodo è contrassegnato dall’assenza di tombe reali in terra. Poiché era disceso direttamente dal cielo il re era l’incarnazione  e il protettore dell’ordine cosmico, nonché il garante dello stato: la presenza stabile dei re sul trono assicurava l’armonia nel regno. Il re rappresentava l’essenza della continua rinascita dell’antenato divino che si era incarnato in quel re, all’epoca della maturità, e rimaneva incarnato in lui finché suo figlio avesse raggiunto la stessa età per la maturità ascendendo al trono. Esisteva una triade composta dal re, il sommo sacerdote e il capo dei ministri: gli ultimi due, che rappresentavano la gerarchia sacerdotale e la nobiltà, avevano potere esecutivo del governo. Alla salita al potere di un nuovo re si ricostituiva una nuova triade. I sacerdoti e i ministri regali dovevano badare al mantenimento della salute del re da cui dipendeva l’integrità del regno e forse dell’universo. Il figlio dell’ultimo dei sette re , Digum, sarebbe stato il primo a morire in terra a causa di un incidente che lo portò a tagliarsi da solo la corda. È in quest’epoca che la tradizione posteriore , XIV secolo , pone la nascita della religione Bon che essa ricollega a paesi stranieri come il Tazig , ovvero l’Iran, con gli Azha, il Zhangzhung, il Brusha . Contemporaneamente all’introduzione del Bon nello Yarlung la tradizione colloca la nascita di altre due tecniche religiose: quella dei bardi e quella dei genealogisti e cantori di enigmi. Accanto ai bon (recitatori, eseguivano funzioni sacerdotali a servizio del re divino) ci sarebbe stata un’altra classe di sacerdoti, gli shen, dediti alla divinazione.

Songtsen Gampo fu presto considerato incarnazione di Avalokitesvara poiché la leggenda vuole che alla morte si sia dissolto nella statua di questo dio patrono. Avalokitesvara, il Buddha della compassione, sarebbe retrocesso nel Tibet del passato come protettore della nazione e come punto centrale della storia tibetana: si dice che nel passato preistorico avesse preso forma di un monaco e che si fosse unito con un orchessa da cui ebbe inizio la stirpe tibetana. Anche il grande Gesar di Ling è un’emanazione di Avalokitesvara. Il 5° Dalai Lama si identificò, infine, non solo come quinta reincarnazione di Tsongkhapa, ma anche come incarnazione vivente di Avalokitesvara, identificazione che avvenne da lui in poi. Il Dalai Lama, inoltre, dichiara che il suo stesso maestro è incarnazione di Amithaba, il Buddha della luce infinita, attribuendogli il titolo di Panchen Lama e fondando una nuova linea di incarnazione che ha sede nel monastero di Tashilhunpo mentre la sede del Dalai Lama si trova a Lhasa nel Potala, il palazzo di Avalokitesvara.