Mentre le carrozze passano a grande velocità, Zechim Yoindain alza la mano in segno di saluto. Davanti a lui, il lungo tunnel Yangbajing della struttura che ha diligentemente sorvegliato negli ultimi 5 anni: la ferrovia Qinghai-Tibet. La più alta del mondo costruita sul permafrost e – con i suoi 1.956 chilometri – la più lunga dell’altopiano omonimo, che dalla sua apertura nel 2006 è protetta dagli ufficiali dell’8° Brigata del distaccamento di Lhasa della polizia popolare.
Perché, anche senza episodi di danno intenzionale, le sfide non mancano. Come la stagione delle piogge, quando le frane raggiungono l’area del campo ma anche i binari (un evento già accaduto e dopo il quale, oltre ai rinforzi alle montagne lungo la ferrovia, sono state installate delle reti protettive). Oppure la fauna del Tibet, ben più numerosa grazie agli enormi progressi ecologici compiuti finora, da tutelare anche dai passaggi sui binari e i conseguenti gravi danni agli animali stessi, ai treni e alle persone.
Per facilitare il monitoraggio e quindi la prevenzione, gli ufficiali hanno perciò installato cavi in fibra ottica sensibili alle vibrazioni, “persino di una mosca”, in grado di dare subito l’allarme e di trasmettere il filmato alla stanza di servizio. Non solo: le stesse apparecchiature sono state posizionate anche su entrambi i lati del ponte sul fiume Lhasa – l’ultimo tra i 675 della ferrovia Qinghai-Tibet, lungo più di 900 metri – dove si trova invece il 25° squadrone dello stesso distaccamento.
Monitoraggio e protezione dunque, 24 ore su 24. Al prezzo di vedere molto poco le proprie famiglie. Anche perché, nei 18 anni dall’apertura al 2023, la ferrovia Qinghai-Tibet – che ha segnato la fine dell’isolamento della Regione – ha trasportato più di 37,6 milioni di persone e oltre 8,9 tonnellate di merci. Facendo salire il PIL locale dai 34,2 ai 239,2 miliardi di yuan, cioè dai 4,8 ai 33,5 miliardi di dollari.
Incastonati in una valle remota tra le montagne, questi uomini sopportano forti venti tutto l’anno. E non sorprende che la loro pelle si screpoli spesso in inverno, a causa delle raffiche incessanti e del freddo estremo. Zechim Yoindain, originario di Chamdo (la terza città più grande dopo Lhasa e Shigatse), ricorda i suoi primi pensieri nel guardare le montagne spoglie e la strada quasi deserta: “Era una zona così arida che non avevo idea di cosa aspettarmi e di quale fosse il valore del mio impegno qui”. Ma, quando i turisti a bordo dei treni lo salutano, la risposta comincia ad arrivare: “Guardarli passare sani e salvi attraverso il tunnel mi fa sentire che ogni sforzo vale la pena”.
Sicurezza e tranquillità, delle persone e della Natura: questo il valore. Pertanto, nessuna preoccupazione: soltanto un viaggio spettacolare.