A metà mattinata del 7 gennaio, si parla di almeno 95 vittime e più di 130 feriti del sisma che ha colpito la zona di Shigatse: uno dei luoghi più sacri del Tibet, dove vivono 62mila persone. Le scosse di magnitudo 6.8 secondo alcune fonti e 7.1 secondo altre, le più forti degli ultimi 5 anni e seguite da 50 scosse di assestamento, sono state avvertite anche nel Nepal, nel Bhutan e nel nord dell’India – dove però, al momento, non si registrano danni a persone o edifici.
Parliamo di un’area a circa 80 chilometri a nord dall’Everest e a 4-5mila metri di altitudine, fortemente sismica per via della “frontiera” tra le placche tettoniche dell’India e dell’Eurasia. Ragione per la quale la capacità di intervento e di soccorso nella regione è stata decisamente rafforzata negli ultimi anni. Una capacità che, per quel che riguarda l’Altopiano, comprende i droni-cargo, gli elicotteri e gli aerei dell’aviazione tibetana, sviluppata negli ultimi anni grazie a un notevole investimento economico e tecnologico della Cina e perfettamente attrezzati per la Protezione civile. Ricordiamo, in alta quota e in condizioni climatiche particolarmente difficili – soprattutto in inverno.
Mentre scriviamo, più di 1.500 tra Vigili del Fuoco e operatori specializzati sono già all’opera e oltre 22mila tra tende, cappotti, trapunte e letti pieghevoli sono in arrivo dalla Cina. I primi interventi di ricerca delle vittime e dei dispersi nonché di soccorso ai feriti e agli sfollati si concentrano nella zona dell’epicentro, Tingri. Dove vivono circa 6.900 persone e dove, al momento, le case danneggiate – molte delle quali fatte di terra – sarebbero un migliaio.
La nostra profonda vicinanza alle famiglie delle vittime, ai feriti e agli sfollati. Confidiamo nelle donne e negli uomini che, del soccorso e dell’assistenza, hanno fatto la loro missione di vita.