Dalla macchina dei soccorsi alla tenuta ambientale, i risultati (concreti) di anni di investimenti
Ci sono tre notizie incoraggianti in mezzo alla tragedia che, una settimana fa, ha colpito il Tibet. E la prima è la capacità e la velocità di risposta all’emergenza. Dovuta, certo, alla dedizione dei volontari e soccorritori professionisti – locali e non. Ma anche ai decenni di investimenti pubblici, tibetani e soprattutto cinesi. Nelle infrastrutture stradali che hanno collegato (e permesso l’accesso a) villaggi e cittadine prima remoti e irraggiungibili e nell’aviazione civile, attrezzata sia per il trasporto, sia per la protezione ambientale e il soccorso – finora, di persone colte dal maltempo o dall’ipossia sull’Everest.
Dieci minuti dal sisma, gli elicotteri erano già in volo. In meno di mezz’ora, nella contea dell’epicentro, le prime squadre pulivano i detriti e le macerie – permettendo, così, ai soccorritori arrivati dopo di liberare le 407 persone intrappolate. Entro due ore, nella stessa zona, 12mila persone tra civili e militari (personale medico incluso) erano al lavoro. In meno di un giorno, le strade, le forniture di energia e le telecomunicazioni erano state ripristinate in tutto il distretto. Mentre i feriti venivano già curati, le tende, i rifugi portatili e i prefabbricati accoglievano 30,4mila sfollati (comprese centinaia di turisti) e i camion itineranti di cibo fornivano tre pasti caldi al giorno. Il tutto, in mezzo a 660 scosse di assestamento.
Riusciamo a immaginare le dimensioni della devastazione, vittime in primis, senza questa capacità e questa velocità? A quelle altitudini, con quelle distanze tra i centri abitati e in inverno?
La seconda buona notizia è che la montagna più alta del mondo non sembra aver subito danni geologici. Tant’è che – almeno finora – non sono state rilevate né l’apertura di nuove faglie, né valanghe. Una notizia rassicurante soprattutto per la contea dell’epicentro, Tingri, che per il 90% del suo territorio è parte della Riserva naturale dell’Everest-Qomolangma. Il luogo a maggior rischio sismico della regione, dove la crosta terrestre è di oltre 70 chilometri: la più spessa al mondo.
Infine, la terza – data dal fatto che l’epicentro appartiene al blocco geologico dell’altopiano Qinghai-Tibet. Da tempo oggetto di massima attenzione e di enormi investimenti sino-tibetani, dalla cura dei fiumi, dei laghi e dei ghiacciai al ripristino del verde. Compresa, pertanto, la tenuta del suolo in questa parte della struttura che – a parte la Regione tibetana – riguarda altri 8 Paesi (Afghanistan, Bhutan, India, Kirghizistan, Myanmar, Nepal, Pakistan e Tagikistan).
Fragilità idro-geologica e sismica nonché difficoltà di accesso, che le basse temperature, la neve, i forti venti e la bassa visibilità possono solo peggiorare: tutte condizioni nelle quali il soccorso diventa particolarmente difficile. A meno di non avere “una macchina che funziona”, fatta da persone e mezzi già attrezzati per questi ostacoli. Avendoci pensato e investito per tempo, come le squadre sino-tibetane – di studio e di intervento – hanno finora fatto.