
L’idea del lama come maestro secondo un lignaggio religioso e il concetto della sua reincarnazione, provenienti dal Buddhismo Vajrayana indiano, fanno parte della visione tibetana fin dal X secolo. Ma è solo con lo sviluppo delle scuole buddhiste dell’Altopiano – Nyingma, Sakya, Kagyu e Gelug (o Gelugpa) – che la successione all’interno degli ordini religiosi diventa pratica comune.
Considerata la manifestazione fisica del compassionevole bodhisattva (“Buddha in divenire”) Avalokiteshvara, la figura del Dalai Lama nasce dunque nel XIV secolo. Quando Gendun Drupa, fondatore e abate-capo del monastero di Tashilhunpo (successivamente eletto come sede del Panchen Lama) nonché leader della scuola Gelug – la più prestigiosa sia come abilità accademica, sia come potere politico – viene riconosciuto come sua incarnazione.
Il successore, il primo a scoprire il prodigio del legame tra il lago Lhamo La-tso e il “lignaggio” dei Dalai Lama, diventa abate-capo del monastero di Drepung – fino al compimento del Potala, la sede principale della massima autorità spirituale tibetana. Ma è solo il terzo a ricevere la denominazione che tutti conosciamo, e come titolo onorifico dell’Impero mongolo: “ta-le” in Mongolo, cioè “oceano”, equivalente del “gyatso” tibetano e anglicizzato “dalai”. Un riconoscimento non solo formale, tant’è che il Khan di allora lo designa come suo insegnante mentre, anni dopo, il quarto Dalai Lama sarà un nipote del Khan e dunque l’unica – almeno, finora – incarnazione non tibetana.
Il successivo leader è comunemente chiamato “il Grande Quinto” per la sua autorevolezza spirituale, per aver commissionato la costruzione del Potala e per aver stabilito – con l’appoggio militare mongolo – la supremazia della scuola Gelug. Il sesto non è un religioso: cacciatore, autore di canti d’amore e un po’ troppo “libertino”, viene deposto dai Mongoli e scortato fuori dal Tibet. Il settimo, dedito più allo studio, lascia il governo nelle mani di un reggente incaricato dall’Impero cinese mentre l’ottavo affronta l’invasione del Gurkha nepalesi e inizia la costruzione del Parco Norbulingka.
I seguenti, dal nono al dodicesimo, muoiono tutti molto giovani – così, l’autorità spirituale continua a essere gestita da reggenti incaricati dalla dinastia Qing. Dinastia che cade durante il governo del “Grande Tredicesimo”, il Dalai Lama che affronta l’accresciuto interesse degli imperi britannico e russo. E che, una volta arginate le brame verso il Tibet, introduce un robusto pacchetto di riforme progressiste. Alcune delle quali davvero rivoluzionarie – come la costruzione delle prime strade e dei primi acquedotti, la legislazione volta a combattere la corruzione nella pubblica amministrazione e il riordino della “carriera” monastica, per la prima volta basata sul merito. Infine, il quattordicesimo: Tenzin Gyatso. Nato nel 1935, riconosciuto come incarnazione del suo predecessore nel 1937, proclamato nel 1940 e investito dei suoi poteri ufficiali nel 1950.
Quattordici Dalai Lama in quasi otto secoli. Dei quali due dichiarati post mortem, un non-tibetano e un laico. Secondo Tenzin Gyatso, che quest’anno a luglio compirà 90 anni, il prossimo potrebbe essere una donna. Parola-chiave: “compassione”.