Terminiamo oggi il nostro viaggio nel simbolismo Buddhista, presentando gli ultimi elementi che più ritornano nell’arte votiva dell’Altopiano.
5. Conchiglia
La conchiglia (in sanscrito sankha, in tibetano dung gyas-‘khyl), a volte chiamata anche conca destrogira, viene rappresentata con dimensioni piuttosto grandi, di colore bianco, generalmente con avvitamento verso destra e con la parte terminale a punta. La conchiglia, oggetto naturale e non prodotto artificialmente dall’uomo, è stata per questo utilizzata fin dall’antichità come strumento rituale. Era già utilizzata in epoca prebuddhista come simbolo delle divinità femminili, come contenitore e come strumento musicale rituale. Nel Buddhismo tibetano si utilizza spesso come strumento musicale e il suo potente suono viene utilizzato per richiamare i monaci alle riunioni, per fare offerte di suono durante le puje o anche come recipiente per l’acqua con lo zafferano. (La pratica della Pūjā è stata adottata anche nel Buddhismo tibetano, nel cui contesto viene chiamata Guru Pūjā. Essa si svolge all’alba e al tramonto, cantando brani delle Scritture e tenendo un periodo di meditazione comune).
Rappresenta la gloria dell’insegnamento del Dharma, che come il suono della conchiglia si diffonde in tutte le direzioni, ma anche l’abbandono dell’ignoranza. È un simbolo dal significato strettamente religioso, in quanto nell’ambito degli otto simboli, la conchiglia rappresenta la gloria dell’insegnamento dell’Illuminato, che analogamente al suono della conchiglia si espande indifferentemente in ogni direzione.
6. Nodo Infinito
Il nodo infinito (in sanscrito srivatsa, in tibetano dpal be’u) è un nodo chiuso composto da linee intrecciate ad angolo retto. E’ uno dei simboli maggiormente ricorrenti nell’iconografia tibetana. Non ci sono indicazioni precise sulla sua origine iconografica. Spesso viene paragonato al simbolo nandyavarta, una variante della svastika che presenta diverse similitudini con il nodo dell’infinito. (In ambito buddhista il simbolo dello svastika indica il Dharmacakra, ovvero la Ruota della dottrina. Nel Buddhismo cinese e tibetano il termine sanscrito svastika assume il significato di miriadi o infinito che si manifesta nella coscienza di un Buddha; per tale ragione essa è spesso posto nelle statue rappresentanti un Buddha sul suo petto all’altezza del cuore.) Per il buddhismo tibetano è un simbolo classico, rappresentativo del modo in cui tutti i fenomeni sono interdipendenti tra loro e dipendono da cause e condizioni che vengono rappresentati dalle linee geometriche che si intersecano tra loro. Non avendo né inizio, né fine, simboleggia anche l’infinita conoscenza e saggezza del Buddha e l’eternità dei suoi insegnamenti. Per la sua importanza e semplicità grafica, questo simbolo viene utilizzato anche da solo. Ad esempio, se disegnato su un biglietto di auguri, favorisce la creazione di un legame stabile tra il donatore e chi riceve il regalo, oltre a ricordare al donatore che risultati positivi futuri sono determinati da azioni positive presenti, come quella del donare.
7. Vessillo di vittoria
Il vessillo della vittoria (in sanscrito dhvaja, in tibetano rgyal-mtshan) si riferisce a diversi oggetti della cultura tibetana, richiamando anche le figure della bandiera, dello stendardo. È costruito in legno e tessuto, ma ne esistono copie in metallo. Classicamente è uno stretto cilindro di tessuto con tre o più strisce di seta adornato con nastri di cinque colori (bianco, rosso, verde, blu, giallo), e funge da decorazione e generalmente si trova all’interno di templi e monasteri, sospeso al soffitto, come ornamento dei tetti o all’estremità delle lunghe aste di preghiera. A volte viene utilizzato anche sul tetto di abitazioni private. Rappresenta la vittoria degli insegnamenti buddhisti, la vittoria della conoscenza sull’ignoranza e sulla paura, la vittoria del Dharma contro tutti gli ostacoli e il raggiungimento della felicità ultima. Secondo alcuni tibetologi, il vessillo sarebbe un’evoluzione del primo simbolo, il parasole.
8. Ruota del Dharma
La Ruota del Dharma (in sanscrito chakra, in tibetano ‘khor-lo) si compone di un mozzo centrale, di otto o più raggi e di un cerchione esterno. L’immagine della ruota è un simbolo universale ed è presente in tutte le culture. Già nell’India prebuddhista era un molto diffuso con il duplice significato di arma o del sole. Nella cultura buddhista la ruota si associa immediatamente al concetto della Ruota del Dharma messa in moto da Buddha in occasione della prima esposizione pubblica della sua dottrina a Sarnath, non lontano da Benares, l’odierna Varanasi, nel cosiddetto Parco delle Gazzelle. Per questo motivo spesso la Ruota del Dharma viene spesso rappresentata tra due gazzelle. I significati della Ruota del Dharma possono essere molteplici. Secondo i tre addestramenti della pratica buddhista, il mozzo rappresenta l’addestramento alla disciplina morale che rende stabile la mente; i raggi rappresentano la comprensione della vacuità di tutti i fenomeni che permette di eliminare alla radice la nostra ignoranza, ed il nostro attaccamento ai beni materiali; il cerchione esterno, infine, identifica la concentrazione che permette di tenere salda la pratica della dottrina buddhista. Rappresenta inoltre l’Ottuplice nobile sentiero che porta alla liberazione, il Dharma e Buddha Shakyamuni stesso. In senso più generale, tra gli otto simboli di buon auspicio, la Ruota del Dharma simboleggia l’insegnamento buddhista nella sua globalità; essa ci ricorda infatti che il Dharma abbraccia tutte le cose, non ha né principio né fine, è in movimento costante ma immobile al contempo. In definitiva, per i buddhisti la ruota rappresenta l’espressione della completezza e della perfezione dell’insegnamento, incarnando l’auspicio che esso continui ad espandersi.