LE FESTE TIBETANE: NUOVO ANNO DEL RE

  • by Redazione
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  • 24 Giu 2017
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Continua il nostro viaggio nelle feste tibetane. Il “Nuovo Anno del Re” è sicuramente una delle più sentite dalla popolazione dell’Altopiano. Durante questa ricorrenza il centro di attrazione è, senza dubbio, la capitale della Regione Autonoma del Tibet, Lhasa, che per l’occasione si veste di colori e offre attrazioni.

Il festeggiamento del Losar precede l’avvento del buddhismo stesso, e può essere ricondotta al periodo prebuddhista Bön, durante il quale ogni inverno veniva tenuta una cerimonia sciamanica-spirituale nella quale il popolo offriva grandi quantità di incenso agli spiriti ed alle divinità protettrici locali, in modo da ottenerne il loro favore e benevolenza. Solo  in un secondo momento, questo festival  aborigeno divenne una festività buddhista annuale, originatasi secondo le credenze durante il regno di Pude Gungyal, il nono re del Tibet. Molte le leggende che circondano l’avvento di questa ricorrenza. Si dice che la festa sia nata quando una vecchia donna di nome Belma introdusse il conteggio del tempo basato sulle fasi della luna. Tuttavia per cercare una  parvenza di attendibilità, dobbiamo ricorrere agli scritti cinesi del XVIII secolo, con riscontro nei racconti dei missionari della stessa epoca, descrivono cosa avveniva nella città di Lhasa: i commercianti interrompono gli affari per tre giorni; ci si scambiano doni di tè, di alcolici e di frutta. […] Il quindicesimo giorno della prima luna, si erige nel Gran Jo (Jo-Khang, n.d.A.) un’impalcatura di legno di diversi piani, sulla quale si appendono migliaia di lampade e si pongono statuette di tutti i colori, modellate in burro e farina: uomini celebri, draghi e serpenti, uccelli e quadrupedi. […] A seconda che il cielo sia coperto o sereno, che piova o nevichi, che le lampade abbiano una luce vivida o fioca, si fanno presagi sul raccolto. Il diciottesimo giorno si riunisce un esercito di tremila uomini, cavalieri e fanti: rivestiti delle loro armature e imbracciando le armi, questi fanno tre volte il giro del Jo-Khang e si dirigono poi a sud del Ponte di Turchese, da dove lanciano colpi di cannone. Dicono che è per cacciare i demoni . Attualmente, il Losar rappresenta un periodo d’alta stagione per il flusso turistico sull’Altopiano, per quanto riguarda i fedeli provenienti dalle altre regioni della Repubblica Popolare Cinese. Tuttavia anche per i turisti stranieri, partecipare all’Anno del Re significa vivere un’esperienza unica.

A Lhasa si può assistere a giorni di attività colorate con tibetani che si aggirano per le strade della città ben vestiti e durante i quali, secondo la tradizione di lunga data, i pellegrini offrono incensi mentre i turisti e i visitatori possono assistere a performance drammatiche e danze rituali. Uno degli spettacoli più belli della tradizione teatrale è il Cham, una tradizione artistica introdotta in Tibet nel VIII secolo e da allora le danze vennero rappresentate secondo un rituale che rimase praticamente immutato fino al XVI secolo quando ogni monastero ne diversificava alcuni particolari per distinguersi dagli altri. Questo il motivo della presenza di grande varietà tra danze cham che si tingono di variegate sfumature secondo la setta del monastero che le ospita e inscena l’occasione religiosa, la regione di esecuzione e le tradizioni del luogo. I viaggiatori di epoca vittoriana li definirono, con vena di disapprovazione, danze demoniache. Si tratta, in realtà, di una rappresentazione dei misteri sacri volta a proteggere, aiutare, guidare, far meditare tutti gli uomini: le danze vogliono ricordare l’ineluttabilità della morte, la transitorietà dell’anima e il ciclo naturale delle rinascite. Inoltre, non meno importante, le maschere vogliono abituare i fedeli alla vista di alcune divinità già durante la vita terrena in modo che non rimangano terrorizzati vedendole dopo la morte. In quasi tutte le rappresentazioni Cham vi è un certo numero di personaggi fissi, i costumi sono ampi, morbidi e colorati, confezionati con broccati e sete pregiate.  Il danzatore si identifica con la sua vera natura di divinità tantrica, che rappresenta la dignità umana nella sua espressione più perfetta. Il Cham si svolge, tradizionalmente, in ambito monastico e ha lo scopo di purificare l’ambiente (gli elementi di acqua, terra, spazio, fuoco e aria che lo compongono) e di guarire gli esseri che lo abitano. La maggior parte delle danze rituali viene eseguita pubblicamente nei cortili dei monasteri davanti a un gran pubblico che, talvolta, giunge da luoghi distanti settimane o mesi di cammino. Tutte le fasi del cham sono scandite dal suono di un’orchestra monastica, la cui composizione può variare da cinque-sei elementi a oltre una ventina. Se per i visitatori questa danza è niente più che un affascinante spettacolo danzante e pittoresco, questa arte rituale fa parte dell’addestramento interiore del praticante e comprende anche meditazioni, visualizzazioni ed elaborate tecniche di concentrazione tanto da poterlo considerare una sorta di meditazione in movimento. Per suo tramite il danzatore, aiutato dalla musica, da apposite preghiere e dal simbolismo dei costumi che indossa, entra in un rapporto diretto con la divinità che rappresenta. Infatti ogni danzatore esegue la danza di un ben preciso personaggio del pantheon tantrico e con esso stabilisce un legame profondo. Il monaco, grazie al potere del cham, “diventa” la divinità stessa, ci si identifica completamente e, tramite questa identificazione, ne acquisisce le qualità fondamentali raggiungendo così una superiore consapevolezza spirituale: è in questo stato mentale completamente purificato e trasfigurato che deve danzare.