LA NASCITA DEL NOME “TIBET”

  • by Innocenzo Quinto
  • |
  • 28 Giu 2017
  • |

Tuttavia questa considerazione, alla luce delle contraddittorie fonti storiche e della natura prevalentemente leggendaria delle successive trascrizioni storiografiche, non permette di essere maggiormente precisi.

Come rimane abbastanza contraddittoria l’origine e il significato dello stesso nome Tibet. Questo sembra passato a noi attraverso la denominazione araba Tibat o Tobbat, tratta a sua volta da quella antica cinese Tu-pat o Tufan.

Questa cinese nella prefettura di Jiuquan, che si trova nella parte occidentale della provincia del Gansu, lungo la celebre Via della Seta, è esposta in uno degli incroci di culture più significativi del pianeta. La città era l’ultima tappa per i viaggiatori diretti verso l’Occidente, prima della separazione della grande via in due diramazioni, necessarie per evitare di attraversare il deserto di Taklamakan.

I due forti della città, la Porta di giada e il Passo Yangguan, significavano per i viaggiatori provenienti da ovest che si recavano in Oriente, l’aver superato indenni il percorso intorno al deserto, che era costellato di macabre ossa di sfortunati viandanti.

LA NASCITA DEL NOME “TIBET”, Mirabile Tibet

Yanguan, or Yang Pass, is a mountain pass that was fortified by Emperor Wu of the Western Han Dynasty around 120 BC and used as an outpost in the colonial dominions adjacent to ancient China.

 

Il centro rappresentava l’ultimo baluardo della muraglia cinese ed appunto diventata celebre per le grotte di Mogao, proprio laddove vennero custoditi per i secoli futuri i più celebri testi della tradizione cinese e tibetana ma non solo.

La leggenda narra di un monaco buddhista chiamato Lezun che, nel 366, ebbe una visione di mille Buddha. Convinse quindi un ricco pellegrino della Via della seta a fondare il primo tempio che si trova qui. Col passare dei secoli i templi crebbero fino a superare il numero di mille, e con essi vennero costruiti ricoveri e repositori di testi sacri, e cappelle votive.

Fra il IV e il XIV secolo i monaci di Dunhuang raccolsero numerosi manoscritti sia locali che occidentali, e molti dei pellegrini che passavano per il sito dipinsero affreschi all’interno delle grotte, oltre a lasciare un’offerta e a pregare per propiziarsi un viaggio tranquillo.

 

Gli affreschi coprono una superficie di oltre 42.000 metri quadrati. I monaci buddhisti praticavano una vita ascetica e speravano che l’isolamento delle grotte li avrebbe portati più facilmente all’illuminazione. I dipinti servivano come aiuto per la meditazione, in quanto rappresentazione visiva della ricerca dell’illuminazione. Inoltre avevano lo scopo di illustrare agli analfabeti le storie e le credenze buddhiste.

LA NASCITA DEL NOME “TIBET”, Mirabile Tibet

Tuttavia, nel corso dell’XI secolo le grotte vennero murate, in quanto erano ormai diventate ricolme di vecchi (ma preziosissimi) manoscritti lacerati e inutilizzabili. Mentre le opere precedenti al 600 d.C. raffigurano prevalentemente temi sacri rigorosi, i dipinti relativi all’epoca Tang descrivono le caratteristiche della vita di alcune persone, di qualunque ceto sociale, che transitavano o che abitavano in questo luogo.

 

Le pitture raffigurano commerci, usi, tradizioni, preghiere, leggende, lavorazioni artigianali e per quanto riguarda l’ambito religioso, lo storico conservato consente di verificare i mutamenti intercorsi fra il buddhismo originario indiano e la sua progressiva assimilazione nella cultura filosofica cinese.