Non appena arrivò l’ambasciatore di T’ang, il ministro Si-ta-jo giunse per stabilire con lui il protocollo dell’alleanza. Venne allestito un grande festino a destra della tenda e il modo di servire i piatti e passare il vino era molto simile a quello cinese. Veniva suonata musica con l’aria del Principe di Chin che spezza la falange, come pure altri motivi della prefettura di Liang. È registrato che tutte le canzoni e gli spettacoli furono eseguiti da cinesi.
L’altare per il patto era largo tre passi e alto due piedi. L’ambasciatore di T’ang e più di dieci ministri stranieri stavano di fronte a cento capi disposti sotto l’altare. Sull’altare era posto un trono, e il Grande Ministro del Culto, salito sul trono, pronunciò il giuramento. Qualcuno di fianco a lui lo tradusse e lo comunicò a quelli che stavano più in basso.
Quando ebbe finito versarono il loro sangue a conferma del giuramento, ma il Grande Ministro del Culto non lo fece. Comunque ripeté il giuramento nel nome di Buddha e bevve in onore dell’ambasciatore di T’ang da un bicchiere di acqua color zafferano. L’ambasciatore ricambiò l’onore ed essi scesero dall’altare».
In definitiva, si può correttamente affermare che una storia tibetana propriamente detta comincia nel settimo secolo, quando cioè Songtsen Gampo per la prima volta diede unità politica alle varie tribù che abitavano il pianoro tibetano e stabilì la supremazia della sua casa sui capi dei grandi clan che si dividevano il territorio.
Prima di Songtsen Gampo (seconda metà del sec. VI – prima metà del sec. VII d. C.) non sappiamo quasi nulla: le cronache tibetane ci hanno conservato notizia dei suoi predecessori, ma è difficile sapere se essi abbiano realtà storica o siano soltanto nomi che sfumano nella leggenda.
Sono in gran parte gruppi di re ai quali, sul modello delle tradizioni cinesi, si attribuisce l’invenzione di molte arti della pace. Il paese sembra sia stato diviso in varie comunità sotto il predominio di alcune grosse famiglie non sempre in buon accordo fra loro, dedite alla pastorizia e anche a scorrerie armate.
Certo, Songtsen Gampo riuscì a fondare uno stato così forte in grado di confrontarsi ed allearsi con la Cina: la potenza del Tibet sorgeva così minacciosa che l’Imperatore non disdegnò di cedere in moglie, non già la figlia come vorrebbero alcune fonti tibetane, ma una sua parente a Sroṅ btsan sgam po.
Questo matrimonio, insieme con quello avvenuto fra lo stesso re tibetano e la figlia di Amśuvarman re del Nepal, segna in effetti l’inizio della duplice influenza che il Tibet cominciava a ricevere dalle due grandi civiltà vicine, l’indiana e la cinese. Il duplice matrimonio aprì forse per la prima volta la mente del rude guerriero a più gentili forme di vita e di pensiero, e se anche i tibetani enfatizzano il ruolo di Songtsen Gampo come di un autentico e fervente buddhista, non si può tuttavia dubitare che durante il suo governo e per opera della sua politica avvenne la prima penetrazione del buddhismo nel Tibet.
Così come, sull’altro fronte, grazie a questo sovrano si stabilirono i primi legami dinastici con l’Impero cinese. Non è infatti per nulla casuale che la quasi totalità delle fonti storiografiche esistenti su questo periodo siano di origine cinese: da un lato lo sterminato patrimonio costituito dai reperti e dai manoscritti ritrovati nel secolo scorso nelle grotte di Mogao vicino a Dunhuang, nella provincia del Gansu. Dall’altro, la ricchezza culturale contenuta nel Libro dei Tang, che incasellano il Tibet degli albori tra le civiltà più prossime a quella cinese.