LA GRANDE ARTE MUSICALE TIBETANA

  • by Redazione
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  • 28 Ago 2017
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Uno degli aspetti più complessi ed affascinanti dell’intera tradizione tibetana è senza dubbio costituito dai cham, le danze rituali eseguite dai monaci buddhisti e da quelli appartenenti al Bon, l’antica religione autoctona del Tibet. La policromia di costumi, maschere e ornamenti; i suoni profondi e drammatici degli strumenti musicali; la potenza simbolica dei movimenti dei danzatori e le stesse valenze archetipiche delle “storie meravigliose” raccontate tramite i cham, sono comunicazioni che toccano con forza il cuore e la mente di quanti assistono alla sacra rappresentazione.

La maggior parte delle danze rituali viene eseguita pubblicamente nei cortili dei monasteri davanti a un gran pubblico che, a volte, giunge da luoghi distanti settimane o mesi di cammino. Tutte le fasi del cham sono scandite dal suono di un’orchestra monastica, la cui composizione può variare da cinque-sei elementi a oltre una ventina. Gli strumenti usati dall’orchestra sono per lo più i cembali ( rolmo), i tamburi a manico (nga), le trombe telescopiche (dung-chen) e quelle corte (gya-ling).
La danza rituale fa parte dell’addestramento interiore del praticante e comprende anche meditazioni, visualizzazioni ed elaborate tecniche di concentrazione. Il Cham si può definire, sia pure con una certa libertà di linguaggio, una sorta di meditazione in movimento. Per suo tramite il danzatore, aiutato dalla musica, da apposite preghiere e dal simbolismo dei costumi che indossa, entra in un rapporto diretto con la divinità che rappresenta. Infatti ogni danzatore esegue la danza di un ben preciso personaggio del pantheon tantrico e con esso stabilisce un legame profondo. Il monaco, grazie al potere del cham, “diventa” la divinità stessa, ci si identifica completamente e, tramite questa identificazione, ne acquisisce le qualità fondamentali raggiungendo così una superiore consapevolezza spirituale: è in questo stato mentale completamente purificato e trasfigurato che deve danzare.
Attraverso la meditazione in rapporto alla divinità il praticante tantrico purifica la sua intera struttura psico-fisica e quindi “protegge” quelle che vengono chiamate le tre basi: corpo, parola e mente. Proteggere il corpo significa assumere le varie attitudini della divinità in modo da rimuovere l’apparenza “ordinaria” del corpo. Proteggere la parola vuol dire che il danzatore mentre esegue il cham deve continuamente ripetere un mantra (formula di preghiera) della divinità o, se canta, deve essere in accordo con la particolare melodia associata ad essa. Infine, con protezione della mente, si intende quello stato di consapevolezza interiore che mette in grado il danzatore, mentre esegue i differenti movimenti rituali, di non essere distratto da nulla, di essere pienamente concentrato sulla dignità che il suo “ruolo” comporta.
Il cham viene solitamente diviso in tre livelli: esterno, interno e segreto. Al livello esterno appartengono le gestualità, i movimenti e i “passi” veri e propri che sono l’oggetto della coscienza visiva. Quello interno si riferisce invece ai diversi ornamenti simbolici indossati dai danzatori; ad esempio la collana è in relazione con la perfezione della generosità, gli orecchini a quella della pazienza, i bracciali a quella della moralità, e così via. Quello segreto è il livello più profondo. Si tratta della dimensione nella quale la mente di colui che danza è del tutto purificata e “dimora” nella visione, lo stato di totale chiarezza al di là delle concettualizzazioni. Quello stato dove le cose vengono viste nella loro nuda essenzialità, così come esse sono.
I principali personaggi dei cham sono in genere le divinità, i Protettori della Fede (Dharmapala) e i maestri con cui il monastero è particolarmente connesso. Vi sono inoltre delle “figure” che compaiono praticamente in tutti i cham indipendentemente dalle differenti scuole e tradizioni. Di queste “figure” varrà la pena ricordarne alcune. I Signori dei Cimiteri (Durdag), che portano una maschera raffigurante un teschio e indossano un abito rappresentante uno scheletro, simboleggiano l’evoluzione della mente verso la pura consapevolezza. I Cappelli Neri (Sha-nag), praticamente gli unici danzatori che non hanno maschere sul volto, affidano il loro messaggio simbolico ad un elaborato costume e ad un largo cappello nero diviso in tre sezioni che rappresentano i tre livelli di esistenza. La tesa ornata di pelliccia raffigura i più elevati mondi spirituali dei reami senza forma (Arupadathu), la calotta conica simboleggia il mondo delle dinamiche meditative e delle forme spirituali (Rupadathu) e infine la parte terminale è in relazione con il mondo del desiderio e degli esseri umani e celesti (Kamadathu). Gli Animali, sovente legati al ciclo della divinità Mahakala, svolgono spesso un ruolo di primo piano nei cham, soprattutto il Cervo, il Corvo e il Toro e solitamente incarnano il potere spirituale che riesce a sconfiggere tutte le negatività (interiori ed esteriori).
Altrettanto importanti dei costumi sono gli oggetti rituali che i danzatori impugnano durante l’esecuzione dei cham. Anche gli oggetti altro non sono che elementi simbolici attraverso i quali il danzatore articola il suo discorso esteriore ed interiore. In passato molti dei viaggiatori occidentali che assistevano a un cham non ne comprendevano l’autentico significato e pensavano di trovarsi di fronte a pantomime primitive o, peggio ancora, a riti di magia nera. Non riuscivano a comprendere che, ad esempio, la maschera di una divinità irata rappresenta, oltre che un Protettore della Fede anche l’aspetto dinamico della mente; che il Pugnale a Tre Lame (Phurba) impugnato dai danzatori altro non è che il simbolo della capacità della coscienza di recidere i nodi dell’ignoranza metafisica. Non riuscivano, cioè, a cogliere l’elemento essenziale del cham: rappresentare un potente linguaggio espressivo tramite il quale l’essere umano può entrare in contatto con le sue energie psichiche più profonde e padroneggiarle lungo il cammino che conduce alla liberazione interiore.