Nel settimo secolo il Tibet era indifferente se non ostile al buddhismo contrariamente a quanto accadeva nei paesi confinanti. Il buddhismo, che incominciò a diffondersi progressivamente dal V secolo a.C., inizialmente era per lo più praticato dai nobili indiani che incominciarono a stanziare fondi per i monaci che pian piano divennero sedentari: particolare contributo venne dato dall’imperatore indiano Asoka (III secolo a.C.) grazie al quale il buddhismo poté diffondersi velocemente. Man mano il buddhismo indiano incominciò ad aver bisogno di testi sacri per giustificare il proprio ruolo e per supportarsi e la nascita di questi testi andò avanti in concomitanza all’accostamento e al contatto ad altre scuole ideologiche e a religioni locali indiane (fra cui l’induismo). Un altro aspetto che aiutò la diffusione del buddhismo fu la sua elasticità iniziale (e non solo) ad adattarsi agli usi locali per attrarre il più possibile i laici di religioni diverse: i monaci incominciarono ad agire come sacerdoti riconoscendo il potere e l’influenza delle divinità indiane locali riuscendo a sfruttare le similarità fra alcuni riti tantrici più esteriori e certe pratiche indigene pre-buddhistiche. Pratica utilizzata per la meditazione divenne anche lo yoga, nato in India in epoca antica. Le loro opere letterarie aumentarono i campi di interesse andando dalla medicina alla letteratura. Verso la nascita dell’era cristiana (I secolo d.C.) nacque il Mahayana (il “grande veicolo” che promuove una vita da bodhisattva, quindi alla salvezza degli altri esseri prima che alla propria), il quale produsse testi propri dichiarati parola del Buddha, che si contrappose al buddhismo fino a quel momento praticato che fu chiamato Hinayana (il “piccolo veicolo”, accezione data dai seguaci Mahayana, volto alla salvezza individuale). La necessità primaria per chi aspirasse a diventare un Buddha era di trovare un maestro i cui metodi si adattassero alle inclinazioni del suo discepolo: la fede assoluta nel maestro che si era scelto divenne il requisito principale nelle forme successive di pratica tradizionale del Buddhismo. Con la nuova corrente Mahayana chiunque (e quindi non solo gli asceti) poteva aspirate alla buddhità.
Il Tibet, che probabilmente conosceva già il movimento buddistico, fu influenzato dal buddhismo Mahayana nel VII secolo dopo che si era già diffuso nella maggior parte dei paesi confinanti fra cui la Cina (dal I secolo d.C.) e il Nepal (dal V secolo). Il buddismo divenne religione ufficiale nel 791 ad opera del re. Dall’VIII secolo al XII secolo (coincidente con la quasi totale scomparsa del buddhismo in India a causa delle incursioni musulmane) i tibetani visitarono costantemente l’India e il Nepal per ricevere testi, istruzione ed iniziazioni. Nel XIII secolo i tibetani composero per loro il Canone buddhista che, grazie alla loro devozione, divenne il più completo in forme e contenuti di tutti quelli che un gruppo di buddhisti avesse prodotto. Poco dopo il buddismo scomparve dall’India e scemò in Nepal dove era soggetto alle pressioni di una società dominata da Brahmani. Quindi i tibetani divennero gli eredi dell’intera tradizione buddistica indiana.
Il buddhismo incominciò a stabilirsi in Tibet nell’epoca di Srong-brtsan-sgam-po (che morì nel 650 circa e avrebbe fatto costruire la costruzione buddista di Jo-khang), considerato, insieme a Khri-srong-lde-brtsan e Ral-pa-can (Ralpacen, che regnò dall’815-833), uno dei Tre Grandi Re buddhisti. Se alcune famiglie nobili come i dBa (pronunciato Ba) erano contrari all’introduzione del buddhismo non si poteva dire la stessa cosa per i Myang che arrivarono anche a fondare templi buddisti.
Srong-brtsan-sgam-po avrebbe mandato in India il saggio Thonmi Sambhota che avrebbe fissato l’alfabeto tibetano in base ad un alfabeto indiano (del Kashmir), l’alfabeto Gupta. Il vocabolario e lo stile letterario tibetano, ora principalmente dedicato al buddismo, (soprattutto dal IX secolo in poi) fu adattato ai termini e allo stile indiano in base ai testi sanscriti su cui si lavorava: venne prodotto un vocabolario dottrinale e ideologico capace di rendere fedelmente la traduzione di tutta la letteratura sanscrita buddista. Gli immediati successori di Srong-brtsan-sgam-po, però, non mostrarono grande entusiasmo per il buddhismo.
Il primo monastero tibetano in cui si veniva educati per diventare monaci fu quello di bSam-yas (Sam-ya, Samye) dove, in concomitanza con la traduzione in tibetano di testi buddisti cinesi ed indiani, nel 792, ebbe luogo il Grande Dibattito per stabilire se si dovessero seguire gli insegnamenti indiani o cinesi (in seguito allo scatenarsi di insegnamenti dottrinali). Il punto di vista indiano (sostenuto dal saggio Kamasila, chiamato da Santaraksita) si pronunciò in favore dei convenzionali insegnamenti del Mahayana e della convenzionale educazione intellettuale e morale. La posizione cinese di scuola Chan (sostenuta da Mo-ho-yen), invece, riteneva la morale convenzionale e lo sforzo intellettuale del tutto irrilevanti se non nocivi allo scopo del raggiungimento dell’illuminazione (proponendo come via migliore la “via breve” ed immediata propria anch’essa del tantrismo e del Mahayana). Il successo del buddismo cinese era quello del quietismo Chan (o Zen) che dava poca importanza alle opere di bene e al lento e difficile progresso verso la santità. Tale successo aveva infastidito i maestri indiani che avevano predicato alcune semplici regole di condotta morale e il principio della retribuzione delle opere buone o cattive in una vita futura.
Ma il verdetto fu favorevole alla scuola indiana (queste due posizioni, però, non rappresentavano l’intera posizione buddistica presente in Cina o in India, ma solo quella della scuola presente al dibattito).
Gli stupa, contenenti salme, reliquie e statuette funerarie di santi, Lama ma anche laici, avevano una cupola (la parte più importante poiché contenente la reliquia) sormontata da una specie di spirale a tredici anelli (come i 13 stadi per raggiungere la buddità) e coronata da un disco solare appoggiato ad una mezzaluna: la cupola era sormontata dalla “goccia” che rappresentava la dissolvenza di sole (la saggezza) e luna (la compassione) al momento dell’illuminazione (questi simboli erano in relazione con le dottrine tantriche buddiste più sviluppate).
La principale immagine di Buddha è generalmente quella del traduttore Vairocana (l’illuminatore) collegata con una serie di testi tantrici e posto, nelle immagini, al centro e circondato da altri Buddha. L’immagine del Buddha Vairocana, insieme agli altri quattro Buddha supremi (che sono la sua manifestazione nelle quattro direzioni), è essenziale nei riti rNying-ma (pronunciato Nyingma), in particolare nell’ordine non riformato dei Dzogchenpa ma è essenziale anche nei riti Bon.
Le forme convenzionali di buddismo monastico furono quelle che ebbero il sostegno dei re e dei sovrani perché si considerava che esse svolgessero un ruolo necessario nell’organizzazione della vita sociale, le altre forme non convenzionali venivano tollerate (e si svilupparono più che altro a livello popolare).