Il primo missionario che arrivò in Tibet fu il frate gesuita Antonio d’Andrade nel 1624 e subito dopo lo seguirono i frati Cacella e Cabral mentre a Lhasa incominciava a svilupparsi una piccola comunità di musulmani provenienti dal Ladakh. Altri rapporti erano stretti con i Newar (del Nepal) ma erano per lo più di carattere opportunistico, in base ai servigi che avrebbero reso alla loro santa fede ed eccetto per quel poco appreso per scopi commerciali, i tibetani si interessarono difficilmente alla lingua nepalese o mongola o cinese: l’onere di mantenere il contatto toccava sempre agli altri mentre i tibetani continuavano a mostrare un’indifferenza generale per gli sviluppi sociali, culturali e politici dei paesi attorno a loro nonostante aderissero alla fede buddista tibetana.
La morte del 5° Dalai Lama, avvenuta nel 1682, fu nascosta da Sans-rgyas rGya-mtsho fino al 1695 quando si scoprì la verità e cercò di rimediare ponendo un suo protetto al trono, Tshangs-dbyangs rGya-mtsho (Tsangyang Gyamtso), scelta che si mostrò presto sbagliata dato il disinteresse di questo Dalai Lama verso una vita spirituale e la sua propensione per le donne, il canto e la danza. Nel 1697, quando il Tibet era affidato ancora ai discendenti di Gushri Khan nonostante la figura del 5° Dalai Lama avesse indebolito molto questo legame che era diventato solo nominale, un discendente Qosot (o Khoshot) nella persona di lHabzang divenne re ed era deciso a prendersi la sua fetta di potere. lHabzang entrò in conflitto con il 6° (ipotetico) Dalai Lama che però era intento a liberarsi della sua carica rinunciando, infine, ai suoi voti monastici lasciando via libera al re mongolo che fece del Tibet un feudo mongolo e divenne re del Tibet. Siccome il ministro-reggente Sans-rgyas rGya-mtsho (Sangye Gyamtso) aveva ereditato (dal 5° Dalai Lama), nella persona di Galdan, l’amicizia degli Dzungar che erano sempre stati in contrasto con Qosot e impero cinese, il re mongolo del Tibet Lhabsang Khan (lHabzang) e l’imperatore cinese Kangxi si organizzarono per ucciderlo. Alla morte di Sans-rgyas rGya-mtsho l’imperatore Kangxi accordò il riconoscimento formale a lHabzang come governatore tibetano in cambio dell’offerta di un tributo: il Tibet divenne il vassallo formale della Cina. In seguito lHabzang decise di destituire il 6° Dalai Lama, vergogna di tutti i Dalai Lama (anche se nessuno dei più potenti Lama si era preso il compito di sconfessarlo) e lo condusse in Cina dove il ragazzo morì durante il viaggio. Al suo posto lHabzang installò uno dei suoi protetti che però non venne mai accettato dal popolo tibetano che aspettava la vera reincarnazione del 6° Dalai Lama. Per questo motivo i tibetani ebbero l’appoggio nella vecchia amicizia con gli Dzungar che partì nel luogo in cui era stato trovato la nuova reincarnazione, il 7° Dalai Lama, che però era già scortato dall’esercito cinese. Gli Dzungar arrivarono a Lhasa uccidendo lHabzang e saccheggiando tutto, senza portare in salvo la nuova reincarnazione. Il 7° Dalai Lama, bsKal-bzang rGya-mtsho (Kesang Gyamtso), fu installato nel 1720 dopo che i cinesi erano giunti in Tibet per liberarlo dalla piaga degli Dzungar (che avrebbero costituito un pericolo per l’impero se si fossero installati in Tibet influenzando la chiesa dGe-lugs-pa in Mongolia). Kangxi stabilì dei rappresentanti a Lhasa e fissò un decreto (non scritto) che sosteneva (in maniera arbitraria) che il Tibet era tributario della Cina già da ottant’anni (in base all’epoca in cui Karma-pa, dGe-lugs-pa e Gushri erano andati a chiedere aiuto ai manciù che stavano per ascendere al trono cinese): da quel momento in poi l’imperatore cinese (di origine mancese) fu tecnicamente sovrano del Tibet anche se i tibetani continuarono a considerare questa relazione con la Cina in termini del concetto tradizionale di Patrono-Sacerdote. Quindi nel XVIII e XIX secolo i Gelugpa ebbero l’appoggio di Kangxi. La Cina influenzò la forma di amministrazione tibetana ma altre funzioni del governo precedenti continuarono immutate. Durante tutta la vita di Kangxi l’esercito cinese rimase a Lhasa ma venne ritirato dal successivo imperatore ravvivando antiche rivalità fra signori tibetani: il risultato fu la reinstallazione dell’esercito cinese a Lhasa. Intanto il titolo di Lama Pan-chen (= “grande sapiente”, attribuito alle autorità del monastero di bKra-shis-lhun-po perché uomini sapienti e che acquisì il principio di reincarnazione con il 5° Dalai Lama dopo che dichiarò che il Lama Pan-chen della sua epoca si sarebbe reincarnato) assunse carica temporale ed amministrativa ad opera di Kangxi poiché il 7° Dalai Lama era stato sospettato di fomentare i disordini del tempo e quindi, per ristabilire una forza equilibrante all’interno dei dGe-lugs-pa si operò in modo da alzare gli incarichi del Lama Pan-chen. Dopo la morte del nobile Kang-chen (che con Pho-lha si assunse il compito di supportare lHabzang) prese il comando il nobile Pho-lha bSod-nams sTobs-rgyas che riportò la laicità al di sopra dell’ex governo teocratico. Il governo di Pho-lha assicurò al Tibet un periodo di pace.
Nel 1716 i gesuiti si recarono nuovamente a Lhasa attraverso la missione di Desideri che pochi mesi dopo il suo arrivo parlava già abbastanza bene il tibetano, celebrava apertamente la messa e discuteva di questioni religiose con i nobili. Altra missione religiosa fu portata avanti dai Cappuccini che, al contrario di Desideri, non erano capaci di confrontarsi con i tibetani né erano abbastanza istruiti né erano in grado di affrontare discussioni sull’analisi delle credenze della loro religione e degli altri popoli (per non parlare del buddhismo). Successe, in seguito, che uno dei pochi convertiti da parte dei cappuccini si rifiutò di prosternarsi davanti al Dalai Lama e la situazione peggiorò quando si venne a sapere che i loro insegnamenti insultavano la dottrina buddista (in quanto Sakyamuni non veniva considerato un vero santo e che il Dalai Lama non sarebbe stata una reincarnazione): da questo momento in poi il Tibet incominciò a chiudersi in se stesso e in seguito avrebbe cacciato tutti quegli stranieri presenti nel suo territorio.