Il cambiamento climatico ha un impatto diretto sulla fauna selvatica e sui futuri sforzi per la protezione della biodiversità. Questo il grave j’accuse che si legge in uno studio redatto sull’osservazione del comportamento della fauna selvatica nella riserva naturale Sanjiangyuan. Il lavoro, frutto di una collaborazione internazionale di più atenei con a capo gli studiosi Yunchuan Dai e Charlotte E. Hacker, ha preso come oggetto di studio i comportamenti dell’orso bruno tibetano, una specie classificata come protetta dal governo centrale ed ora, finalmente, non più a rischio estinzione.
“Ma le buone notizie sono finite qua”, ammettono gli studiosi. “Se è vero che negli ultimi 20 anni molto è stato fatto in materia di conservazione della fauna selvatica, il progressivo riscaldamento climatico dell’intero altopiano tibetano entro il 2050 ridurrà drasticamente l’habitat dell’orso bruno tibetano”, sottolinea il report. Come si evince dallo studio ad essere stravolto sarà l’intero sistema della biodiversità dell’altopiano Qinghai-Tibet, una trasformazione che è già in atto. Con rischi non solo per la fauna selvatica, ma anche per l’uomo.
“Sempre più spesso gli orsi tibetani sono alla ricerca dei cosiddetti ‘corridoi di habitat’, luoghi dove gli animali riconoscono familiari data la presenza di caratteristiche simili al loro habitat. Il problema è che il clima impazzito ha reso caldi luoghi ad oltre 3000 metri di quota e viceversa si sono registrate co maggiore frequenza un abbassamento delle temperature in zone relativamente di bassa quota, creando così lo sconfinamento degli orsi anche in città abitate distanti centinaia di chilometri dal loro habitat naturale. Un dato che cresce anno dopo anno”.
COME CORRERE AI RIPARI?
Lo studio, già arrivato ai ministeri competenti, raccomanda “varie azioni per migliorare l’impatto del cambiamento climatico sugli orsi bruni, come la protezione dell’habitat climaticamente adatto, la creazione di corridoi di habitat, la ristrutturazione delle aree di conservazione e il rafforzamento degli sforzi di monitoraggio”. Ma la strada è lunga.
Il Tibet si è confermato nuovamente come “oasi verde” globale. In un recente report si legge come il Tiber sia una delle aree con migliore qualità ambientale a livello globale, con biodiversità ed ecosistemi locali stabili. Molto è stato fatto negli anni passati. Le autorità locali hanno realizzato ben 47 riserve naturale che coprono 412 mila chilometri quadrati. Per citare un dato, basti pensare che circa il 35% della superficie geografica tibetana è considerato area naturale.
Buona la qualità dell’aria e delle acque dei e laghi montani, così come la lotta al bracconaggio ha dato i frutti sperati. Il numero di animali selvatici è tornato finalmente a crescere e specie a rischio come il leopardo delle nevi, il lupo tibetano o l’airone collo nero sono tornati a vivere in serenità nell’altopiano. Complessivamente il governo di Lhasa ha speso solo nel 2019 circa 183 milioni di dollari nella salvaguardia ambientale. Tuttavia il Tibet è a rischio. Sul Tetto del Mondo aleggia la grande minaccia del riscaldamento globale. I ghiacciai hanno accelerato il loro scioglimento e i livelli di acqua dei grandi laghi montani sta salendo troppo rapidamente. Il Tibet è il “terzo polo” idrico e climatico del mondo. Un suo deterioramento andrebbe ad intaccare non solo la vita del Tibet stesso, ma anche dei paesi ad esso confinanti.