L’immenso altipiano asiatico ha visto germogliare nei secoli un notevole patrimonio letterario, filosofico e religioso. La lingua tibetana classica e il buddhismo come fattori di unificazione. L’assorbimento dei miti arcaici da parte delle scuole buddhiste.
Secondo un antico mito tibetano, quando il Tibet non esisteva ancora Avalokiteśvara, il bodhisattva dell’amore universale, posò il suo sguardo sulla terra e vide una sconfinata regione buia, senza dubbio il luogo più desolato e triste del cosmo. In principio questa zona era coperta da un grande oceano, ma dopo che le acque si furono ritirate, era emerso un vasto altipiano, circondato da alti ghiacciai e irrigato nelle zone centrali da grandi fiumi e numerosi laghi. Sull’altipiano non vivevano uomini, ma scimmie e orchesse che avevano le loro tane in grandi caverne rocciose e sulla cima di profondi burroni. Verso oriente il bodhisattva scorse il profilarsi di foreste rigogliose e di verdi pascoli, abitati da uccelli tropicali di ogni tipo.
Questa descrizione mitica corrisponde, in un certo qual modo, al processo geologico che ha interessato l’altipiano tibetano. Circa quarantacinque milioni di anni fa, quando la placca tettonica indiana si scontrò con quella euroasiatica, la costa meridionale dell’Asia continentale che costituiva il letto del mare di Tethis incominciò a emergere, dando forma alla catena himalayana e alle altre grandi catene montuose dell’Asia interna: quelle del Karakorum, del Pamir, del Tianshan e del Kunlun.