Negli ultimi 10 anni Lhasa ha speso circa 2 miliardi di dollari solo per la protezione ambientale. E’ questo quanto emerso in un recente report redatto dalle autorità locali. Gli investimenti hanno inglobato ogni aspetto della protezione ambientale, dal riforestamento di aree disboscate alla salvaguardia di specie protette per toccare anche uno spinoso problema: la salute dei ghiacciai del Tetto del Mondo. Ma quale lo status di salute del fragile ecosistema tibetano? Vediamo nel dettaglio
FORESTE E ANIMALI SELVATICI
Nel 2021, il tasso di copertura forestale in Tibet ha raggiunto il 12,31% e la copertura vegetale completa delle praterie è cresciuta fino al 47,14%, ha dichiarato lunedì Shui Yanping, vice capo del dipartimento regionale dell’ecologia e dell’ambiente in una conferenza stampa. Secondo Shui, anche la popolazione di animali selvatici rari ha visto una crescita riparatrice. La popolazione della gru dal collo nero, che è sotto protezione nazionale di prim’ordine, è aumentata da meno di 3.000 nel 1995 a oltre 10.000, mentre il numero di antilopi tibetane è aumentato a oltre 300.000.
Le cifre parlano chiaro. Il Tibet rimane una delle aree con il miglior ambiente a livello globale, con gli ecosistemi locali che rimangono stabili e l’ambiente in costante miglioramento. Tutto grazie al lavoro e agli investimenti statali.
DELICATA LA SITUAZIONE DEI GHIACCIAI: GLI ESPERTI LANCIANO L’ALLARME
Per decenni è stato inascoltato l’appello di esperti e scienziati tibetani e cinesi: i ghiacciai del Tibet si sciolgono troppo rapidamente. L’altopiano tibetano, infatti, è sede di una vasta calotta di ghiaccio considerata dalla comunità scientifica come il terzo polo della terra perché contiene la maggior quantità di neve e ghiaccio dopo l’Artico e l’Antartico (circa il 15% del totale globale) e che da acqua ad un terzo della popolazione della Terra. Il problema è che ora si sta sciogliendo a causa dei cambiamenti climatici. Uno dei motivi della rapida perdita di ghiaccio è che questo altopiano, come gli altri due poli, si sta riscaldando a una velocità fino a tre volte superiore alla media globale, di 0,3 ° C per decennio.
Oltre alle emissioni di CO2, a generare questa situazione c’è anche il fatto che, sulla superficie dei ghiacciai, vi è carbonio nero che cattura la luce solare senza rilasciarla. Questo ha molteplici conseguenze climatiche dannose tra cui l’azione negativa sui monsoni e l’accelerazione dello scioglimento del ghiaccio.
OCCHI PUNTANTI SULL’INDIA
La situazione è quindi davvero drammatica, ma le condizioni in rapida evoluzione al terzo polo, non hanno ricevuto la stessa attenzione di quelle dei poli nord e sud. Per decenni si è incolpata la Cina di questa situazione ambientale, eppure i più recenti report (come quelli rilasciati dalla Columbia University ) hanno messo al banco degli imputati l’India. Se da una parte Pechino è corsa ai ripari, l’inquinamento atmosferico della pianura indo-gangetiche, una delle regioni più inquinate del mondo, deposita quasi l’85% del carbonio nero sui ghiacciai tibetani.
Joseph Shea, un glaciologo di fama internazionale, definisce la situazione “deprimente e che induce alla paura”.
DIVERSE LE DIFFICOLTA’
Per anni c’è anche una carenza di ricerche rispetto agli altri poli, ma se negli anni la Cina ha dato libero accesso ai dati idrologici esistenti, creando anche pool di ricerca internazionali, lo stesso non si può dire dell’India che custodisce gelosamente ogni ricerca e dato circa l’attività montana sull’Himalaya. Vi è poi il problema che l’altopiano tibetano è un luogo vasto e poco pratico in cui lavorare e dunque le misurazioni sono più difficili da ottenere. Senza contare le difficoltà logistiche. Agli scienziati viene addirittura impedito dalla popolazione locale, di raggiungere alcune montagne perché considerate sacre. Basti pensare che per fotografare il ghiacciaio Mingyong, uno dei grandi malati dell’Himalaya, si sono dovute utilizzare fotografie satellitari.
Lo scioglimento dei ghiacci in questa zona è pertanto particolarmente pericoloso, molto più che nell’Artico e nell’Antartico, che sono scarsamente popolati. Si vengono a creare infatti alluvioni, frane e interi villaggi vengono spazzati via da eventi sempre più frequenti nonostante i sistemi di monitoraggio e salvataggio siano migliorati. Ancora una volta, il futuro di questa zona del mondo e la vita di un miliardo di persone a valle e in tutta l’Asia, dipende strettamente dalle nostre scelte in fatto di riduzione di emissioni e inquinanti.