ALLA SCOPERTA DELLA VERA ESSENZA DEL BUDDISMO

  • by Alberto M
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  • 28 Giu 2018
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Cos’è il Buddhismo? Quali sono le sue caratteristiche essenziali? Moltissimi se lo chiedono. Alcuni iniziano ad approfondire questa tradizione ma, confusi dalle molteplici scuole e dalle contraddizioni al suo interno, finiscono presto con l’abbandonare il proprio studio.

In effetti, il Buddhismo è un fenomeno dalle molte facce ed è soggetto a molte interpretazioni contrastanti. Le differenze che ci sono, ad esempio, tra il Buddhismo Theravada (tipico di molti paesi del Sud Est Asiatico, come la Thailandia) ed il Buddhismo Tibetano, pur trattandosi della stessa religione, possono essere molto superiori rispetto alle differenze che si riscontrano tra alcune religioni diverse (come quelle tra Cristianesimo ed Ebraismo o Islam).

Quindi, cos’è il Buddhismo? In Occidente c’è chi lo ha definito una filosofia di vita, chi una forma di psicologia, chi una spiritualità scientifica. Molti buddhisti in Occidente affermano che il Buddhismo non è una religione; affermazione abbastanza estrema, perché per quanto il Buddhismo possa avere elementi caratteristici che lo distinguono dalle altre religioni (come l’assenza di un Dio creatore), resta comunque un movimento che possiede molti elementi tipicamente religiosi, quali una dottrina, degli ordini monastici, una visione metafisica (che comprende anche credenze relative a quel che succede dopo la morte) e delle pratiche di culto.

Cerchiamo pertanto, nella molteplicità delle correnti buddhiste, di identificare degli elementi comuni. Il primo, ovviamente, è il punto di riferimento fondante della tradizione, ovvero Siddharta Gautama, soprannominato «Buddha», il «Risvegliato». Nella comune narrativa un principe di casta guerriera (kshatriya) che diventa disilluso dal proprio stile di vita regale quando incontra per la prima volta in vita sua un vecchio, un malato ed un morto. Comprendendo la sofferenza dell’esistenza che accomuna tutti gli esseri umani indipendentemente da caste e stile di vita, Siddharta cerca un modo per fuggire da questa sofferenza, ispirato dalla vista di un asceta. Se dedicherà all’ascetismo più estremo per ben sei anni; ascetismo in cui mortificava il proprio corpo e mangiò solo un seme di canapa al giorno. Comprendendo infine che l’ascetismo estremo non andava ricercato, Siddharta si rende conto che la via per raggiungere la fine della sofferenza è la Via di Mezzo tra gli estremi del piacere e della mortificazione di sé. Così, ricominciando a mangiare, in perfetto equilibrio meditativo, Siddharta raggiunge la Liberazione dalla sofferenza, l’Illuminazione, sotto un albero di Pipal a Bodh Gaya, nell’odierno stato del Bihar dell’India. Il resto della sua vita sarà dedicato all’insegnamento spirituale e alla fondazione e alla cura del suo ordine monastico, chiamato Sangha.

Ancora oggi, i buddhisti di tutto il mondo prendono Rifugio in quelli che chiamano i Tre Gioielli: il Buddha, il Dharma (ovvero il suo insegnamento), ed il Sangha (la Comunità monastica).

Dalla storia della vita di Siddharta si capisce il fondamento del Dharma, della dottrina buddhista, costituita da Quattro Verità definite «Nobili»: il Verità che esiste la sofferenza (dukkha); la Verità che la sofferenza ha una causa; la Verità che esiste la fine della sofferenza; e infine, la Verità che c’è un percorso che può portare alla fine della sofferenza. Queste Quattro Nobili Verità sono il fondamento del Buddhismo di ogni tradizione, anche se c’è qualche differenza nell’intendere lo stato di fine della sofferenza (nirvana) e nel percorso effettivo per raggiungere questo stato.

Il mondo viene concepito come sofferenza in quanto è caratterizzato dalla limitazione e dalla ciclicità, quello che viene chiamato samsara, che si esprime nel ciclo della rinascite e morti. La rinascita – per quanto alcuni buddhisti modernisti occidentali possano negarlo – è infatti uno dei cardini del pensiero buddhista. Essa è concepita come una prigione da cui liberarsi; chi riesce a farlo diventa un Arhat (Arahant in pali), oppure un Buddha, ovvero un Risvegliato.

Qual è, secondo il Buddhismo, l’origine di questa sofferenza? In essenza è l’ignoranza (avijja o avidya) della vera natura della realtà. La realtà, secondo il Buddhismo, è caratterizzata da impermanenza (anicca in pali) e assenza di sé (anatta). Secondo la dottrina del Buddha, infatti, dietro lo scorrere incessante e mutevole delle cose non si cela alcuna essenza, alcun sé permanente e imperituro. Non vedere l’assenza del sé è quello che il Buddhismo definisce come ignoranza, e come conseguenza nasce il desiderio, l’attaccamento e la repulsione. Nascono le emozioni conflittuali, che hanno un senso solo se si considerano gli oggetti come permanenti ed intrinsecamente esistenti, e che reificano ancora di più la realtà. Le emozioni poi portano le persone ad agire creando karma negativo, che a sua volta crea il samsara, il ciclo delle rinascite.

Sviluppando la corretta visione della realtà grazie alla meditazione e alla contemplazione l’ignoranza scompare e, pertanto, la sofferenza cessa. Nei suoi gradi più alti si realizza il nirvana, la fine di ogni sofferenza, di ogni emozione conflittuale, la fine dell’esistenza condizionata.

Il percorso per raggiungere la fine della sofferenza cambia da tradizione a tradizione, ma è comunque caratterizzato da tre pilastri: l’etica (sila), la meditazione (samadhi) e la saggezza (prajna). Per specificarlo meglio, nel Buddhismo più antico il percorso buddhista è chiamato «Nobile Ottuplice Sentiero», perché possiede otto elementi:

1-Retta Visione

2-Retta Intenzione

3-Retto Parola

4-Retta Azione

5-Retta Vita (ovvero retti mezzi di sostentamento. Certi lavori – tipo il commercio di carne, intossicanti, esseri umani, veleni o armi – sono considerati incompatibili con il Dharma)

6-Retto Sforzo

7-Retta Consapevolezza

8-Retta Concentrazione

Altro elemento in comune tra tutte le tradizioni buddhiste che possiamo citare sono i Quattro Incommensurabili, ovvero quattro virtù il cui merito è infinito. Queste sono la Gentilezza Amorevole (metta), la Compassione (karuna), la Gioia (mudita, in particolare si riferisce alla gioia della felicità degli altri) e l’Equanimità (upekka, ovvero l’imparzialità).