
Forse alcuni ricorderanno ancora il film ‘Piccolo Buddha’, di Bernardo Bertolucci, per vedere il quale nel 1993 la massima autorità spirituale del Tibet sarebbe entrata per la prima volta in un cinema. Sicuramente, in molti aspettano di scoprire come andrà a finire la storia vera – viste le dichiarazioni dell’attuale Dalai Lama fatte alla Stampa internazionale nel 2019: che lo avrebbe saputo dire al suo 90mo compleanno (cioè quest’anno, il 6 di luglio) e che il “retaggio feudale” della reincarnazione, nel tempo “corrotto da sistemi gerarchici” discriminatori per genere, ceto sociale e censo, potrebbe anche chiudersi con lui.
A ogni modo, parliamo di una designazione che può durare anni. Perché si tratta di individuare, mettere alla prova, riconoscere, proclamare e, al raggiungimento dell’età appropriata, insediare ufficialmente la corretta reincarnazione. Cioè la successiva manifestazione fisica del bodhisattva Avalokiteshvara che, dal XIV secolo e 14 Dalai Lama, definisce la missione principale di tutti i leader spirituali dell’Altopiano: la compassione volta alla liberazione dalla sofferenza.
Per cominciare, al momento del trapasso si va a osservare la direzione del viso e, se il Dalai Lama viene cremato, quella presa dal fumo – entrambe considerate un’indicazione sul dove cercare. Poi, con l’aiuto del Panchen Lama di Tashilhunpo e del Lama di Samye, si chiedono “indizi” alle divinità e si consulta l’Oracolo di Nechung. Mentre alcuni monaci vengono inviati al Lago Lhamo La-tso, dove la Protettrice del Tibet – Palden Lhamo – potrà forse donare loro la visione del prossimo Dalai Lama.
Fatta così la “mappa” dei luoghi e delle persone da cercare, i nati al momento del decesso del Dalai Lama vengono raggiunti e sottoposti a delle prove in modo da osservare le loro eventuali capacità fuori dal comune, i prodigi legati al loro aspetto o alle loro azioni, il riconoscimento degli oggetti appartenuti al predecessore tra i tanti proposti, e la loro conoscenza e spiritualità. In altre parole, la presenza dell’anima reincarnata.
Se a superare il test è un unico bambino e si è ricevuta l’approvazione del governo centrale, il piccolo Dalai Lama viene portato prima al Monastero di Drepung per imparare i sutra, poi al Monastero di Tashilhunpo per ricevere il suo nuovo nome e venir istruito dal Panchen Lama, infine al Tempio di Jokhang e al Palazzo del Potala per omaggiare il Buddha Shakyamuni ed essere ufficialmente insediato. Se invece si tratta di più bambini, il nome del “vincitore” da avviare allo stesso percorso viene estratto pubblicamente dall’Urna Dorata del Monastero di Jokhang – una tradizione nata nel 1792 durante la dinastia Qing, per evitare la corruzione e la manipolazione della scelta da parte della nobiltà locale desiderosa di ottenere molteplici alte posizioni religiose. In altre parole, gli stessi fenomeni deplorati dall’attuale Dalai Lama.
Come dicevamo, una designazione lunga anni. Valsa anche per Tenzin Gyatso – riconosciuto a 2 anni, proclamato a 5, investito a 15 e ora prossimo al suo 90mo compleanno. Che questa antica istituzione spirituale continui o s’interrompi con lui (magari “a 110 anni e più”, come recentemente annunciato), ce lo dirà solo il tempo.