Nei documentari o filmati riguardanti il Tibet, quante volte abbiamo visto fedeli, monaci o persone comuni portare o offrire delle sciarpe bianche?
Stiamo parlando della “sciarpa della felicità” meglio nota in Tibet con il nome di Khata o Kathak. Questa è a tutti gli effetti uno dei simboli del buddhismo tibetano. Che ci si trovi in Mongolia, a Lhasa o nel centro della Cina, chiunque segui il bussiamo lamaista è avvezzo alla Khata. Questa altro non è che una sciarpa, utilizzata nelle cerimonie civili e religiose, che viene spesso offerta come dono alle divinità, ai Lama, alle coppie di sposi, ma anche ai semplici viaggiatori.
La visione occidentale
Noi in occidente, siamo soliti vedere sciarpe di colore bianco, ma ad onor del vero, queste Khata possono essere di diversi colori e forme. Per le autorità religiose o civili, la sciarpa della felicita, secondo tradizione, è ancora quella di seta bianca. Secondo il buddhismo lamaista, il bianco è quel che simboleggia la perfezione spirituale di Buddha. Tuttavia non è inusuale imbattersi nei templi o monasteri, in Khata di colore arancio o giallo, lunghe ben quattro metri per un metro di larghezza. Queste, quasi come fossero le variopinte “bandiere di preghiera”, hanno la trama ricamata con alcune formule sacre dei mani e gli “otto simboli di buon augurio”.
Il rituale
Per offrire una Khata bisogna tenere conto di un rituale ben preciso. Che sia un lama, un semplice fedele o una divinità, il rigido manuale impone di porgere la sciarpa della felicità a mani giunte all’altezza della fronte, inclinando il busto, in segno di rispetto. Se la khata viene restituita a sua volta al donatore, questa verrà da lui conservata come prezioso talismano.
Tradizionalmente tutte le Khata erano prodotte in seta. Tuttavia oggi sono largamente in uso khata di cotone leggero o anche di semplice tessuto sintetico: non per questo hanno perduto però la loro valenza simbolica e continuano ad essere offerte dai fedeli alle divinità come doni devozionali.