FIORISCONO LE SCUOLE BUDDISTE

  • by Redazione
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  • 27 Gen 2018
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La storiografia tradizionale tibetana suddivide in due parti la storia della diffusione del buddhismo nella regione del Tibet: la prima indicata con l’espressione sna dar (སྣ་དར, “diffusione iniziale”). Questa prima suddivisione si riferisce al periodo che si avvia con il regno di Srong-btsan sGam-po nel VI secolo e si conclude con la persecuzione del Dharma decisa dal re Glang Dar-ma alla fine del IX secolo. Il secondo periodo, che inerisce alla rifioritura del buddhismo in Tibet, viene indicato con l’espressione phyi dar (ཕྱི་དར, “diffusione defintiva”)

Purtroppo non esistono fonti giunte a noi, contemporanee del periodo della seconda metà del IX secolo, che possono descrivere la persecuzione anti-buddhista promossa dal re Glang Dar-ma, la quale separa i due periodi sopramenzionati. Quello che è certo è che, in questo periodo, il Tibet sembra entrare in un periodo di confusione religiosa e politica. Le cronache successive narrano di templi distrutti, monaci costretti ad abbandonare l’abito, paṇḍit indiani cacciati, e quindi la scomparsa del buddhismo nel Tibet centrale. Il potere regale si sgretola, l’impero cinese riconquiste quelle aree dell’Asia centrale da loro perse a favore dei tibetani decenni prima.

La tradizione narra che tre monaci (bhikṣu; in tibetano དགེ་སློང, dge slong) itineranti caricarono i testi del vinaya su un mulo fuggendo nell’Amdo (ཨ་མདོ, a mdo, nome di una regione tibetana posta a Oriente), dove ristabilirono una prima comunità monastica. Tale tradizione intende mitizzare un probabile un reale accadimento storico, ovvero che vi furono delle realtà monastiche non “istituzionalizzate” nei monasteri le quali, sopravvivendo alla chiusura di questi ultimi ordinati con gli editti di Glang Dar-ma, consentirono la rifioritura monastica nelle parti non centrali del Tibet.

Il tibetologo spagnolo Ramon N. Prats sottolinea come questa rifioritura della fede buddhista: « fu imperniata sulla ricerca e la rivalutazione delle fonti letterarie originali del buddhismo dell’India (a scapito, quindi, di qualsiasi altra forma e fonte di buddhismo come quelle provenienti dalla Cina dell’Asia centrale), con la loro correlata traduzione, e sulla ripresa della vita conventuale di stretta osservanza »

Tale rinascita è stata interpretata, sempre secondo Ramon N. Prats, anche su una riconsiderazione del buddhismo del primo periodo al quale furono mosse delle severe critiche riguardanti il lassismo nella disciplina monastica e la degenerazione morale, questa causata anche per la cattiva interpretazione di alcune dottrine tantriche.

Durante questo periodo nuovi discepoli si formano attorno ai rispettivi bla-ma (བླ་མ, lama; rende in quella lingua il sanscrito guru, “maestro”) andando a costituire quei lignaggi di insegnamenti da maestro a discepolo (in sanscrito: guruparamparā; in tibetano: བླ་བརྒྱུད, bla brgyud) che sono all’origine di differenti scuole le quali, tuttavia, sono fondate sul medesimo canestro di disciplina monastica (vinaya), quello dell’antica scuola indiana dei mūlasarvāstivādin.

Da tener presente, come osserva Ramon N. Prats, che queste scuole, le quali ammontano tra le passate e le presenti in circa una trentina,« mostrano tutte una notevole omogeneità. Le diversità intercorrenti sono imputabili a cause storiche -quali le circostanze stesse della loro origine- che non a questioni dottrinali veramente significative, essendo circoscritte queste ultime a differenze di accento su alcune teorie o metodi »

Va evidenziato infine un fatto storico estremamente significativo per le religioni dell’area: alla fine del XII secolo, con l’invasione musulmana dell’India, molti monaci buddhisti di quel paese furono indotti ad abbandonarlo e diversi di questi monaci giunsero in Tibet recando con sé quella tarda letteratura buddhista che fu fondante per le nuove scuole tibetane in via di formazione.