Andiamo oggi alla scoperta dell’animo più intimo della cultura tibetana. Gli Otto Simboli di Buon Auspicio, chiamati anche Otto Preziosi Simboli, costituiscono uno dei più antichi e conosciuti gruppi di simboli del mondo tibetano. Sono presenti già a partire dai testi canonici del Buddhismo Indiano, cioè nei testi redatti in pali e in sanscrito. Si tratta di oggetti, animali o piante che servivano da oggetti rituali o che comunque venivano identificati come segni di prestigio. Da sempre utilizzati nelle cerimonie tradizionali e nelle occasioni speciali, hanno assunto nel corso dei secoli un’importanza sempre maggiore. Gli otto simboli di buon augurio si trovano spesso ripetuti sulle kate (la sciarpa tibetana di buon auspicio e benedizione), vessilli, arazzi, tangka, bandiere, braccialetti, collane e incisi sugli oggetti più disparati. Possono inoltre decorare muri e travi, il lati dei troni e molti altri oggetti sia di uso religioso che profano. Vengono inoltre tracciati sul terreno con polvere bianca quando è previsto il passaggio di qualche importante personalità religiosa o civile.
Il fiore di loto (in sanscrito padme, in tibetano padma) non cresce in Tibet, per questo viene disegnato in modo molto più semplice e stilizzato di quanto fatto nelle rappresentazioni d’arte indiana o giapponese. Il fatto che sia presente in Tibet sta indicare quanto il suo utilizzo iconografico sia strettamente simbolico e indichi purezza e bellezza. Uno tra i simboli tibetani più noti, simboleggia infatti la purezza in quanto, benché affondi le sue radici nel fango degli stagni, produce candidi fiori al di sopra dell’acqua. Rappresenta quindi la purezza, particolarmente quella spirituale, ed è per questo che spesso le immagini di Buddha e dei Bodhisattva vengono rappresentate sedute sopra un trono a forma di fiore di loto. La simmetria dei petali del fiore di loto, da otto a dodici petali, rappresenta l’ordine del cosmo e per questo viene utilizzata come modello per la realizzazione di mandala.L’immagine del loto viene utilizzata nella pratica di autoguarigione Ngalso per identificare e riequilibrare i nostri cinque chakra.
Il nodo infinito
Molto presente in tutta la Cina il nodo infinito (in sancrito srivatsa, in tibetano dpal be’u) è un nodo chiuso composto da linee intrecciate ad angolo retto. E’ uno dei simboli preferiti e maggiormente utilizzati dall’iconografia tibetana. Non ci sono indicazioni precise sulla sua origine iconografica. Spesso viene paragonato al simbolo nandyavarta, una variante della svastika che presenta diverse similitudini con il nodo dell’infinito. Per il buddhismo tibetano è un simbolo classico del modo in cui tutti i fenomeni sono interdipendenti tra loro e dipendono da cause e condizioni che vengono rappresentati dalle linee geometriche che si intersecano tra loro. Non avendo nè inizio, nè fine simboleggia anche l’infinita conoscenza e saggezza del Buddha e l’eternità dei suoi insegnamenti. Per la sua importanza e semplicità grafica, questo simbolo viene utilizzato anche da solo. Ad esempio, se disegnato su un biglietto di auguri, favorisce la creazione di un legame stabile tra il donatore e chi riceve il regalo, oltre a ricordare al donatore che risultati positivi futuri sono determinati da azioni positive presenti, come quella del donare.