La conchiglia (in sanscrito sankha, in tibetano dung gyas-’khyl), a volte chiamata anche conca destrogira, viene rappresentata con dimensioni piuttosto grandi, di colore bianco, generalmente con avvitamento verso destra e con la parte terminale a punta. La conchiglia, oggetto naturale e non prodotto artificialmente dall’uomo, è stata per questo utilizzata fin dall’antichità come strumento rituale.
Era già utilizzata in epoca prebuddhista come simbolo delle divinità femminili, come contenitore e come strumento musicale rituale. Nel Buddhismo tibetano si utilizza spesso come strumento musicale e il suo potente suono viene utilizzato per richiamare i monaci alle riunioni, per fare offerte di suono durante le puje o anche come recipiente per l’acqua con lo zafferano. (La pratica della Pūjā è stata adottata anche nel Buddhismo tibetano, nel cui contesto viene chiamata Guru Pūjā.
Essa si svolge all’alba e al tramonto, cantando brani delle Scritture e tenendo un periodo di meditazione comune). Rappresenta la gloria dell’insegnamento del Dharma, che come il suono della conchiglia si diffonde in tutte le direzioni, ma anche l’abbandono dell’ignoranza. È un simbolo dal significato strettamente religioso, in quanto nell’ambito degli otto simboli, la conchiglia rappresenta la gloria dell’insegnamento dell’Illuminato, che analogamente al suono della conchiglia si espande indifferentemente in ogni direzione.
IL NODO INFINITO
Il nodo infinito (in sanscrito srivatsa, in tibetano dpal be’u) è un nodo chiuso composto da linee intrecciate ad angolo retto. È uno dei simboli maggiormente ricorrenti nell’iconografia tibetana. Non ci sono indicazioni precise sulla sua origine iconografica. Spesso viene paragonato al simbolo nandyavarta, una variante della svastika che presenta diverse similitudini con il nodo dell’infinito. (In ambito buddhista il simbolo dello svastika indica il Dharmacakra, ovvero la Ruota della dottrina. Nel Buddhismo cinese e tibetano il termine sanscrito svastika assume il significato di miriadi o infinito che si manifesta nella coscienza di un Buddha; per tale ragione essa è spesso posto nelle statue rappresentanti un Buddha sul suo petto all’altezza del cuore.)
Per il buddhismo tibetano è un simbolo classico, rappresentativo del modo in cui tutti i fenomeni sono interdipendenti tra loro e dipendono da cause e condizioni che vengono rappresentati dalle linee geometriche che si intersecano tra loro. Non avendo né inizio, né fine, simboleggia anche l’infinita conoscenza e saggezza del Buddha e l’eternità dei suoi insegnamenti.
Per la sua importanza e semplicità grafica, questo simbolo viene utilizzato anche da solo. Ad esempio, se disegnato su un biglietto di auguri, favorisce la creazione di un legame stabile tra il donatore e chi riceve il regalo, oltre a ricordare al donatore che risultati positivi futuri sono determinati da azioni positive presenti, come quella del donare.