Come già detto nel precedente articolo, per poter comprendere il ruolo della figura del Cervo in Tibet bisogna collocarla nel suo contesto euroasiatico.
Questa figura simbolica e immaginale sorge da una matrice che, in qualche modo, era disseminata in tutta l’Eurasia, e trova degli echi addirittura ai giorni nostri. Ad esempio, persino in Inghilterra, nell’Oxfordshire rurale, è sopravvissuta una tradizione in cui si pratica una danza chiamata “Horn Dance” che sembra derivare dalla matrice culturale di cui stiamo parlando.
Dall’Europa alla Russia
Come avviene anche nella trattazione del testo Bө and Bön di Dmitri Ermakov, prima di arrivare al Tibet è bene passare dalla Russia, in quanto lo Yungdrung Bön possiede la stessa matrice del Bө Murgel, ovvero dell’insieme di credenze religiose adottate dallo Sciamanesimo Siberiano.
In Russia, i rimasugli dell’antico culto del Cervo – o della Renna, che è sempre un cervide – sono continuati fino al ventesimo secolo. In molte regioni di campagna c’era l’usanza da parte delle ragazze di indossare dei cappelli con le sue corna. Un’usanza molto singolare era inoltre il sacrificio del cervo, che avveniva davanti alle chiese in concomitanza alle festività della Chiesa Ortodossa Russa.
Fin da tempi molto antichi cervi o renne addomesticate sono state utilizzate per svariati scopi. Ciò si può ancora vedere tra diverse etnie siberiane, in alcune zone della Mongolia ed in Lapponia. Si pensi anche all’immaginario natalizio della renna volante, che si lega all’archetipo del Cervo Celeste.
La Dea Cervo è considerata da diverse etnie, siberiane e non, quale la Dea Suprema dell’Universo. E’ il caso di Bugady Enintyn dele popolo Tunguso-Evenki. La stessa cosa si trova anche in altre etnie, come quella Nganasani, Dolgan, Nivkh e altre.
E’ ricorrente comunque il tema dell’origine celeste e non terreste del Cervo, motivo che si riflette nel fatto che con ogni probabilità la Costellazione dell’Orsa Maggiore era inizialmente associata al Cervo e non all’Orso.
Ovviamente possiamo trovare varie tracce del culto del Cervo anche tra le Divinità dei Buriati. In tempi antichi, la Dea proprietaria della Terra era chiamata Buga Hatan, in cui il termine “buga” è una parola buriata che sta per “cervo”. Anche altre Divinità di natura celeste hanno rimandi al Cervo, ed uno degli epiteti di Tengeri, il Dio del Cielo, è Buga Unsan, ovvero “Colui che Galoppa il Cervo”. Ciò ci rimanda ai Kami dello Shinto giapponese, che abbiamo già citato, che possiedono una natura celeste ma che cavalcano un cervo sacro.
Sembra infatti che prima dell’addomesticazione del cavallo, in epoca preistorica, il Cervo fosse il più veloce mezzo di trasporto.
Il cervo in Tibet. Un focus sulla religione Bön
Come già detto, per comprendere l’origine della figura del Cervo nel Bön tibetano, bisogna porre questa figura nel suo contesto che riguarda il cosiddetto Bön preistorico centroasiatico, quella matrice culturale e religiosa molto antica che ha dato origine sia al Bön tibetano che agli sciamanesimi mongoli e siberiani, e di cui si trovano varie tracce in giro per l’Eurasia.
Gli sciamanesimi siberomongoli sono particolarmente importanti nel tracciare questi parallelismi, anche perché sono giunti fino a noi e quindi possono essere studiati a fondo con il metodo antropologico.
Sappiamo che gli antichi buriati, quando cacciavano un Cervo, avevano un modo particolare di venerarlo. Ne ponevano la testa e le corna su un tessuto bianco vicino ad un fuoco e pregavano queste corna, che poi venivano toccate da ciascuno per assorbirne la sua benedizione ed il suo potere magico. La testa di Cervo era pertanto ritenuta un oggetto magico in grado di trasmettere una grande quantità di potere spirituale.
Da qui si capisce l’importanza delle pelli o delle corna di cervo utilizzate ritualmente e che contraddistinguono i paraphernalia dagli sciamani siberiani fino ai giorni nostri.
Un tipico oggetto sacro degli sciamani è un copricapo con corna di cervo.
Oltre alla sua natura simbolica, indossare la parte del corpo di un animale indica il fatto di assorbirne il potere, e nel caso del Cervo si riferisce soprattutto alla sua capacità di volo magico, di viaggio nei Tre Mondi.
Indossando gli ornamenti del Cervo ci si trasforma in lui, e quindi se ne acquisisce il potere. Si realizza ciò che viene chiamato nell’antropologia dello Sciamanesimo “shapeshifting”, cambiamento di forma, una trasformazione che spesso assume i tratti di una possessione.
Tipiche sono, inoltre, sia nelle storie sciamaniche che nel folclore (ad esempio in quello russo), le leggende sulla trasformazione in Cervo di uno sciamano o dell’eroe protagonista della leggenda.
E’ su questo immaginario simbolico che va compreso il famoso “Stregone di Trois Frères”, quel famosissimo dipinto rupestre trovato in una caverna conosciuta come “Il Santuario” a Trois-Frères, Ariège, in Francia. Sembra descrivere un uomo vestito come un cervo (o, alternativamente, un essere metà uomo, metà cervo). Tale pittura rupestre va fatta risalire addirittura al XIII millennio a.C circa.
Tornando allo Sciamanesimo Siberiano, è importante rilevare l’utilizzo del tamburo sciamanico fatto con pelle di Cervo. Anch’esso è di fatto considerato un mezzo di trasporto; al suo suono, lo sciamano entra in stato di trance e viaggia nei diversi mondi. Nelle leggende sciamaniche, spesso il tamburo dello sciamano si trasformava fisicamente in un Cervo e lo accompagnava come mezzo di trasporto e spirito guida. Il volo magico reso possibile dal Cervo ovviamente si collega al tema della sua natura celeste e stellare.