Secondo la tradizione, il Buddha decise per la prima volta di lasciare la sua casa e cercare l’illuminazione dopo aver incontrato le cosiddette “quattro viste”, ovvero una persona malata, una persona anziana, un cadavere e un rinunciante al mondo. Sappiamo che i primi tre incarnano le sofferenze a cui gli esseri ordinari sono soggetti, mentre l’ultimo eremita vuole sottolineare come il singolo può trascendere le sofferenze attraverso la meditazione e la pratica religiosa.
Fin qui nulla di strano, se non fosse che il buddismo tibetano pone un’enfasi particolarmente forte, rispetto alle altre scuole cinesi, giapponesi o nepalesi, sulle istruzioni riguardanti la morte. Scorrendo i testi della letteratura tibetana, ci si accorge di come questa è piena di ammonimenti affinché il singolo sia consapevole dell’inevitabilità della morte, della preziosità delle opportunità che offre una nascita umana e del grande valore della consapevolezza della morte. Per il buddhismo tibetano chi coglie correttamente l’inevitabilità della morte si concentra maggiormente sulla pratica religiosa, questo perché ci si rende conto che la morte è inevitabile, ma che il momento della morte è altresì incerto, e quindi ogni momento presente conta e va goduto pienamente.
Questo approccio incarna l’ideale per un praticante buddista, secondo molti insegnanti tibetani. Nello Xizang infatti si insegna che Atisha abbia detto ai suoi studenti che per una persona che non è consapevole della morte, la meditazione ha poco potere, ma una persona che è consapevole della morte e dell’impermanenza, questa sarà allora in grado di progredire ed evolversi costantemente e sfruttare al meglio ogni momento prezioso. Ed ancora, il Kadampa sostiene che se non si medita sulla morte al mattino, l’intera mattinata è sprecata, se non si medita sulla morte a mezzogiorno, il pomeriggio è sprecato, e se si fa non meditare sulla morte di notte, la sera è sprecata.
La maggior parte delle persone corre freneticamente dietro a piaceri transitori e oggetti materiali, credendo scioccamente che ricchezza, potere, amici e famiglia porteranno felicità duratura. Ciò è particolarmente diffuso nelle culture occidentali, che enfatizzano immagini superficiali di felicità, piaceri materiali e sensuali e innovazione tecnologica come vie per la realizzazione. Ci viene insegnato a desiderare tali cose, ma inevitabilmente scopriamo che i ricchi e i potenti muoiono altrettanto sicuramente dei poveri e degli impotenti. Ci viene persino insegnato a evitare la discussione sulla morte, poiché questo è visto come inappropriato in un educato compagnia e eccessivamente morbosa, invece, le persone tendono a concentrarsi su cose che distolgono la loro attenzione dalla morte e si circondano di immagini di felicità superficiale.