IL TIBET E L’AMORE PER I CAVALLI

  • by Redazione
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  • 10 Ago 2021
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Durante i tempi antichi sull’Altopiano Tibetano, come viene descritto dall’epopea popolare, qualsiasi membro della tribù che vincesse una corsa di cavalli sarebbe stato ritenuto degno di essere nominato capo.

Questo non è più il caso nei tempi moderni, tuttavia Urgyen, che indossa il suo cappello portafortuna, camicia verde e pantaloni rossi, viene circondato da centinaia di abitanti del villaggio che si congratulano con lui dopo aver vinto una corsa di cavalli nella Prefettura di Ngari, nella Regione Autonoma del Tibet.

L’Epopea di Re Gesar racconta la storia di un Semidio tibetano dell’XI secolo che sconfisse i nemici a cavallo, aiutando a salvare il suo popolo. Questa storia è stata tramandata per via orale da musici e cantastorie e anche da pastori e agricoltori che la narravano attorno ai fuochi da campo o ai caminetti dopo le fatiche del giorno.

Questa storia è ben nota ai Tibetani e si ritiene che sia la ragione per cui le competizioni di corse di cavalli che si svolgono ancora oggi in tutto il Tibet mantengano un’aura di grande importanza.

“Sto indossando gli stessi colori che il protagonista della leggenda indossava come descritto nell’epica”, dichiara, non senza una punta d’orgoglio, il trentaduenne Urgyen. Dopo la sua vittoria, Urgyen divenne famoso nella sua città natale e una delle persone più rispettate tra gli abitanti del villaggio.

Vivendo sul “Tetto del Mondo”, i Tibetani erano soliti affidarsi ai cavalli per muoversi. Urgyen ricorda che la gente “non poteva andare da nessuna parte senza un cavallo” durante la sua infanzia. “Negli anni ‘70, abbiamo montato i cavalli per così tanto tempo che nessuno riusciva a camminare agevolmente quando finalmente scendevamo di sella”, ha detto Darlha, un funzionario del Governo locale.

Dal 1990, viaggiare a cavallo è diventato meno comune nella vita dell’altopiano, dato che oggigiorno la maggior parte dei villaggi è collegata alle moderne reti stradali.

“Ognuno ha moto e auto adesso, non viaggiamo più a cavallo”, ha detto Urgyen, aggiungendo che si è persino diretto verso l’ippodromo con il suo cavallo trainato da un rimorchio dietro al suo camioncino. “Viaggi che una volta duravano giorni oggi si compiono in cinque o sei ore”.

La famiglia di Urgyen possedeva una dozzina di cavalli. Ora ne hanno solo quattro e sono usati solo per le corse.

Chogyal Sangmo è una giovane che vive in un villaggio vicino ed è stata una provetta amazzone fin dalla più tenera età. Quando era adolescente, pianse per tutta la notte dopo che suo padre fu costretto vendere tutti i loro cavalli. Qualche anno fa, Chogyal Sangmo è diventata la prima donna del villaggio a ottenere la patente di guida.

Quando Chogyal Sangmo tornò dalla capitale Lhasa a oltre 1.000 chilometri di distanza, gli abitanti del villaggio le offrirono l’hada, una tradizionale sciarpa cerimoniale tibetana, per mostrare la loro ammirazione e le loro benedizioni. “Hanno pensato che fosse una cosa incredibile!” racconta, ricordando.

Coloro che possiedono cavalli da corsa veloci sono ampiamente rispettati sulle praterie, in quanto sono un simbolo di grande prestigio, che una volta denotava anche un alto status economico. Il cavallo vincente di Urgyen vale 30 yaks o 300.000 yuan (circa 43.000 euro). Tuttavia, rifiuta sempre le offerte per comprare il suo cavallo.

Nel frattempo, i cavalli mantengono il loro status di mezzo di trasporto in alcuni luoghi, dove altri tipi di trasporto non sono possibili. Gyumey Dorje vive ai piedi del Monte Gang Rinpoche, una montagna sacra per i Tibetani, nonché una popolare attrazione turistica. Gli abitanti dei villaggi offrono servizi come passeggiate a cavallo o trasferimenti di merci su e giù per la montagna. “Ricavo più di quanto abbia mai guadagnato prima”, ha detto Gyumey Dorje, che crede che cavalcare di nuovo i cavalli possa portare a una vita migliore per i tibetani.

“Il cavallo non è un bestiame comune”, ha detto Ngawang Tenzin dell’Autorità Culturale locale. “Il cambiamento di stato dei cavalli riflette lo sviluppo del Tibet, che accetta la modernità, ma mantiene la sua identità”.