In tutte le tradizioni buddhiste – che si tratti di Theravada, di Mahayana o di Vajrayana – i devoti sono molto affezionati alle icone, siano statue o dipinti, che rappresentano il Buddha storico Shakyamuni. Questo è particolarmente vero per le statue, che spesso rappresentano l’elemento centrale dei templi buddhisti. Le statue diventano così oggetto di venerazione, davanti a loro si fanno offerte e prostrazioni.
Tra tutte le statue presenti in Tibet ce n’è una particolarmente importante: chiamata «Jowo» (ma anche «Jowo Shakyamuni» oppure «Jowo Rinpoche»), si tratta della statua più sacra e venerata del Tibet. Rappresenta proprio il Buddha storico, Shakyamuni (chiamato anche Siddharta Gautama) e si trova nel tempio Jokhang a Lhasa.
La sua storia è molto interessante. Secondo la tradizione la statua è stata creata proprio durante la vita del Buddha, e l’artista non fu altro che la divinità celeste Vishvakarma. Quest’ultima è una divinità venerata soprattutto nell’Induismo, dove è considerato l’Architetto celeste e il patrono di tutti gli artisti, ma nel Buddhismo occupa un ruolo minore (come tutte le altre divinità hindu).
Il fatto che la statua sia stata creata secondo la tradizione da una divinità celeste e benedetta poi dal Buddha in persona la rende, agli occhi dei buddhisti, una sorta di emanazione del Buddha stesso: venerando la statua sarebbe possibile ottenere gli stessi meriti del venerare il Buddha. Questa caratteristica è probabilmente attribuita solo alla statua di Jowo a Lhasa, facendo eccezione per la statua del Buddha all’interno del Tempio Maha Bodhi a Bodh Gaya, in India.
La statua di Jowo poi arrivò in Cina, offerta ad un imperatore Tang dal re di Magadha. Infine, nel settimo secolo arrivò in Tibet tramite Wenchen Konjo, la principessa cinese che si sposò con il re Songtsän Gampo. E’ molto difficile ricostruire la storia della statua negli anni successivi a questo episodio; sembra infatti che venne persa o dimenticata per un certo tempo. Si racconta che fu la principessa Wenchen a doverla nascondere dalla minaccia di una aggressione Tang, e venne spostata dal tempio di Rawoche, dove si trovava in precedenza, in un luogo segreto del tempio di Jokhang. Venne riscoperta solo nell’ottavo secolo da un’altra principessa cinese, Jinchen Gongzhu, che scrisse per l’occasione anche un memoriale buddhista rituale (skt, buddhanusmrti).
Durante il quattordicesimo secolo successe un fatto importante: il fondatore dell’ordine Gelug (soprannominato da alcuni dei «Berretti Gialli»), ovvero Lama Tzong Khapa, trasformò la statua arricchendola con degli ornamenti (soprannominati «ornamenti del Sambogakaya», uno dei Tre Corpi dei Buddha): questi includono collane, orecchini ed una vistosa corona.
La statua divenne molto importante durante il regno del quinto Dalai Lama, che vi fece costruire davanti il trono del principe mongolo Gushri Khan. In tempi recenti, l’importanza simbolica della statua è stata rinforzata dal decimo Panchen Lama (1938-1989). A quest’ultimo infatti venne dato l’incarico dal governo della Repubblica Popolare Cinese di riconoscere le reincarnazioni di importanti Lama, cosa che il Panchen Lama dichiarò di poter fare tramite divinazione davanti alla statua di Jowo: sarebbe stata la benedizione del Buddha promanata dalla statue, in altre parole, a garantire della veridicità del candidato selezionato.
Purtroppo, però, il Panchen Lama morì inaspettatamente nel 1989, troppo presto per riconoscere dei tulku importanti: lo stesso sistema indicato dal decimo Panchen Lama, tuttavia, venne utilizzato per riconoscere la sua reincarnazione (l’undicesimo Panchen Lama Gyancain Norbu) e per confermare il diciassettesimo Karmapa Orgyen Trinlay.
Ad oggi la statua è ancora lì, al piano terra del tempio di Jokhang, dove viene contemplata giornalmente da migliaia di pellegrini e turisti.