LA VERA NATURA DEL DALAI LAMA

  • by Redazione
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  • 02 Apr 2020
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In Occidente sulla vera natura dell’istituzione dei Dalai Lama circolano spesso informazioni sbagliate e fuorvianti. Queste informazioni – frutto di una idealizzazione ingiustificata della figura del Dalai Lama e di misere conoscenze storiche – sono state divulgate non soltanto dal cinema hollywoodiano, ma vengono puntualmente diffuse anche da chi, sfruttando l’ignoranza comune su questi argomenti, per il Dalai Lama o per la sua attività in Occidente lavora in maniera diretta (vuoi per passione o ideologia, vuoi per interesse).

L’Associazione Italia-Tibet, ad esempio, che in Italia sembra avere lo scopo supportare l’attività politica del Dalai Lama (non occupandosi di questioni religiose a differenza di altri gruppi a lui legati), definisce nel suo statuto il Dalai Lama come la «massima autorità spirituale e politica del popolo tibetano», tradendo così non soltanto la vera storia del Tibet, ma mostrando anche – probabilmente – un pò di mancanza di rispetto per quegli altri leader religiosi tibetani che non gli sono subordinati. Quella dell’Associazione Italia-Tibet però non è un’eccezione; le stesse affermazioni vengono divulgate ufficialmente dal Governo Tibetano in Esilio come anche da buona parte dei sostenitori del Dalai Lama in giro per il mondo, sopratutto in prossimità di eventi che hanno il Dalai Lama come protagonista, come quelli che in questi giorni stanno avendo luogo in Italia.

Pertanto, cosa davvero è il Dalai Lama? Cos’è che lo definisce? Innanzitutto non è paragonabile ad un Papa di tutto il Buddhismo, considerato che non solo le altre correnti buddhiste, ma persino la maggior parte delle scuole tibetane – a differenza di quanto dice l’Associazione Italia-Tibet – non lo riconoscono come capo della propria «Chiesa» (nel Buddhismo Tibetano ci sono cinque scuole principali e tantissimi sotto-lignaggi, ognuno dei quali solitamente ha i propri capi ed una completa autonomia rispetto agli altri). Non è necessariamente un monaco: il sesto Dalai Lama, ad esempio, abbandonò i voti monastici e si dedico ad una vita laica piena dei piaceri dei sensi. Né è, necessariamente, un maestro buddhista: alcuni Dalai Lama sono morti talmente giovani da non aver dato alcun insegnamento in vita loro, e comunque la maggior parte dei Dalai Lama hanno avuto una funzione più politica che spirituale.

I Dalai Lama sono semplicemente dei tulku, ovvero quei personaggi esistenti esclusivamente nel Buddhismo Tibetano la cui successione avviene non per via ereditaria e neanche per elezione; avviene, curiosamente, perché si trova un bambino che è presumibilmente ritenuto essere la reincarnazione del proprio predecessore. 

Questi tulku sono idealmente ritenuti essere dei Bodhisattva, ovvero degli esseri dotati di alte realizzazioni che secondo il Buddhismo Mahayana si incarnano più e più volte in questo mondo per portare beneficio a tutti gli esseri senzienti. Tuttavia tra la teoria e la pratica c’è una grande differenza, e solitamente i tulku si dimostrano essere persone assolutamente normali, con tutti i limiti e le debolezze proprie della natura umana. Spesso non sono all’altezza del proprio predecessore, a volte sono anche poco o per nulla interessati alla pratica spirituale (che viene mantenuta da alcuni tulku solo perché fonte di sostentamento e prestigio). La scelta di un tulku (che andrà ad ereditare tutte le proprietà del proprio predecessore) spesso è condizionata, oltre che dalle procedure religiose, anche da dinamiche politiche o economiche: una famiglia nobiliare ad esempio poteva imporre ad un monastero come tulku un proprio esponente per il prestigio che gli avrebbe portato, oppure la scelta poteva ricadere all’interno di famiglie povere e analfabete quando, al contrario, si aveva bisogno di un tulku debole facile da controllare. Nei casi dei tulku più importanti a livello politico, inoltre, i principi mongoli e gli imperatori cinesi avevano spesso un ruolo cruciale, come nel caso del Dalai Lama.

Oggi nel Buddhismo Tibetano ci sono centinaia di tulku; di questi il Dalai Lama non fu il primo e neanche il più importante a livello religioso. Sicuramente si tratta, però, del tulku più famoso presso il grande pubblico. Il primo tulku della storia del Tibet infatti è il capo storico del lignaggio Karma Kagyu, conosciuto come Karmapa, che precede di circa tre secoli la comparsa dei Dalai Lama. Oserei dire che a livello religioso può anche essere ritenuto il tulku più importante della storia del Tibet, considerata la mole di trattati religiosi prodotti, l’aura di leggenda che lo attorniava, il rispetto che incuteva presso la popolazione tibetana e anche l’influenza che aveva presso le altre scuole (fino alla sua morte negli anni ’80, infatti, quando si doveva cercare un tulku nella comunità in esilio i lama andavano a chiedere aiuto al sedicesimo Karmapa, non al presente Dalai Lama). Proprio per questo infatti il Dalai Lama è sempre stato un rivale storico del Karmapa, e in un certo periodo ha anche cercato di distruggere la sua scuola.

Un’altra cosa da chiarire è che quella del Dalai Lama non è una istituzione puramente tibetana, ma in gran parte è mongola e cinese. Questa istituzione infatti nacque quando nel 1578 il principe mongolo Althan Khan attribuì il titolo di «Dalai Lama», in lingua mongola (la parola «Dalai» infatti significa «Oceano» in mongolo), al lama tibetano Sonam Gyatso, appartenente alla scuola Gelug. Althan Khan a sua volta godeva del titolo di «Principe di Shunyi», ovvero di «Principe Giusto e Obbediente», attribuitogli da un Imperatore cinese della dinastia Ming. Sonam Gyatso riconobbe in maniera retroattiva due illustri maestri della scuola Gelug del passato come due sue precedenti reincarnazioni, diventando così il terzo Dalai Lama (ma il primo ad essere conosciuto come tale). Il terzo Dalai Lama, Sonam Gyatso non tornò più in Tibet; restò in territorio mongolo e in pochi decenni la popolazione mongola si convertì quasi interamente al Buddhismo, sopprimendo nel sangue i precedenti culti sciamanici. Non dovrebbe pertanto stupirci il fatto che il successivo Dalai Lama, il quarto, fu proprio il nipote di sangue di Althan Khan, e pertanto un mongolo,  non un tibetano.

Il connubio tra politica e religione cominciato con il rapporto tra Althan Khan ed il terzo Dalai Lama raggiunse il suo apice con il quinto Dalai Lama, che divenne re del Tibet Centrale quando nel 1642 il principe mongolo Gushri Khan gli offrì di governare il territorio tibetano che conquistò dopo aver vinto una guerra contro il re di Tsang. Il governo dei Dalai Lama però non fu propriamente un modello di pace e amore: internamente il dissenso veniva represso nel sangue, esternamente vennero fatte numerose guerre.

Una cosa che ci preme sottolineare, comunque, – sempre a differenza di quanto l’Associazione Italia-Tibet divulga – è che il Dalai Lama non può essere considerato come sovrano di tutti i tibetani: il suo governo infatti era limitato al cosiddetto Tibet Centrale, costituito dalle provincie di Ü e Tsang. Esistevano invece altre due macro-aree in quello che viene comunemente ritenuto essere il Tibet: la regione dell’Amdo a Nord-Est e quella del Kham a Est. Queste aree erano indipendenti, infatti certe scuole buddhiste tibetane che i Dalai Lama cercarono di reprimere, come la scuola Karma Kagyu o quella Jonang, poterono sopravvivere proprio perché i loro esponenti si rifugiarono in queste zone (oppure in Cina, ad esempio il Karmapa dovette fuggire nella provincia dello Yunnan quando Gushri Khan conquistò il Tibet centrale e uccise il re di Tsang). Sia l’Amdo che il Kham erano indipendenti dal Dalai Lama e il loro territorio è sempre stato frammentato e governato da una serie di governanti locali con titoli spesso concessi dal governo cinese.

Anche il regno dei Dalai Lama non era indipendente: inizialmente dipendeva come già mostrato dai Principi Mongoli, successivamente dagli Imperatori Cinesi della dinastia Qing, che dal 1927 iniziarono a tenere a Lhasa un esercito e un alto ufficiale (chiamato Amban) che aveva il compito di supervisionare la politica tibetana e guidare l’operato dei Dalai Lama e dei Panchen Lama. La funzione dei Dalai Lama era più simile a quella di un vicerè che di un sovrano indipendente, pur godendo di un certo grado di autonomia, a volte molto alta in certi periodi storici.

Inoltre, se vogliamo essere più precisi, anche il Tibet Centrale non veniva controllato interamente dall’amministrazione dei Dalai Lama (chiamata Gaden Podrang), perché delle due provincie che lo costituivano, la provincia di Tsang veniva governata da un altro importantissimo tulku che abbiamo poc’anzi citato: il Panchen Lama, titolo che si può tradurre come “Grande Erudito”. Il regno del Dalai Lama, pertanto, si limitava in concreto alla provincia di Ü.

Il Dalai Lama e il Panchen Lama sono i due più grandi tulku della scuola Gelug. L’istituzione del Panchen Lama nacque quando Althan Khan e il quinto Dalai Lama attribuirono questo titolo al maestro del Dalai Lama, che a sua volta riconobbe retroattivamente altre tre sue precedenti reincarnazioni. Mentre il Panchen Lama è riconosciuto essere una emanazione di Amithaba, il Dalai Lama è riconosciuto essere una emanazione di Avalokiteshvara: Amithaba è considerato essere un Buddha, ma Avalokiteshvara è ritenuto un Bodhisattva, quindi su un piano inferiore. E’ sbagliato quindi ritenere il Panchen Lama inferiore al Dalai Lama; e per certi versi si potrebbe dire che il Panchen Lama rappresentava nel contesto del lignaggio Gelug il punto di riferimento spirituale mentre il Dalai Lama quello politico, anche se si tratta di una semplificazione eccessiva.

Come dato di fatto, però, i Panchen Lama crearono una significativa letteratura religiosa, mentre i Dalai Lama precedenti e successivi al quinto (tranne qualche rara eccezione) sono a riguardo quasi insignificanti. Se non altro perché tra il settimo e il tredicesimo Dalai Lama solo uno raggiunse la maggiore età, morendo tutti molto giovani, presumibilmente uccisi dai propri reggenti tibetani (il fratello del presente Dalai Lama, Jigme Norbu, ha tentato di divulgare l’opinione che questi Dalai Lama sono stati uccisi dai cinesi, in un probabile tentativo di diffamarli anche retroattivamente, ma questa posizione è stata rifiutata dai moderni studiosi come Mullin e Richardson). In altre parole, nonostante l’importante ruolo ricoperto, la Storia non ha dato ai Dalai Lama la possibilità di essere religiosamente molto significativi, nel vasto contesto spirituale e letterario del Buddhismo Tibetano.

La popolarità del presente Dalai Lama è pertanto dovuta ad una propaganda storicamente infondata, propaganda fatta non solo nei confronti degli occidentali ma anche all’interno della comunità tibetana; in quest’ultimo contesto  infatti il Governo Tibetano in Esilio ha trasmesso una immagine dell’istituzione del Dalai Lama molto  distorta, per accentrare  nelle proprie mani il potere rappresentativo di tutti i tibetani provenienti da tutte le aree geografiche e da tutte le scuole tibetane. Utilizzando, in questo modo, il potere della fede religiosa per scopi politici.