Da oltre mille anni nella cultura tibetana è penetrata una particolare declinazione del Buddhismo, che si inserisce, pur con specificità locali, nella corrente del cosiddetto Buddhismo Vajrayāna. Abitualmente, il termine Buddhismo Vajrayāna è traducibile in italiano come Buddhismo del veicolo adamantino o Buddhismo del veicolo del diamante.
Abbiamo già avuto modo di rimarcare, in precedenti lavori, come la categoria del Buddhismo tibetano sia solo una corrente del Vajrayāna, e che a sua volta all’interno dello stesso si articolino diverse scuole e differenti lignaggi, di cui quello dei Gelugpa – o berretti gialli – convive nell’articolato mondo lamaista con le altre principali tradizioni quali Nyingmapa, Kagyüpa, Kadampa, Shijepa, Jonangpa, Sakyapa.
Così come abbiamo già provveduto a confutare l’impropria associazione della filosofia buddhista nella sua ampiezza storico-spirituale con la specificità teocratica e locale del lamaismo. Tuttavia, vogliamo qui riferirci alle scuole buddhiste tibetane nella loro generalità, in particolare dedicandoci alla loro tradizione iconografica, essendo questo un elemento di fondamentale importanza nella comprensione della cultura tibetana passata e presente.
Va anzitutto premesso che, circa l’impiego dei simboli comuni del Buddhismo tibetano, questi raffigurano, interpretano ed esprimono generalmente in forma sintetica determinati aspetti della realtà esteriore ed interiore, in funzione di influenzare, orientare la realtà futura all’interno del concetto di interdipendenza delle cose esistenti.
Per indicare i simboli, si utilizzano termini tibetani differenti a seconda del punto di vista da cui ci si pone. I più comuni sono tak (o rtags, che significa augurio, segno o indicazione), tsenma (o mtshan-ma, ovvero segno distintivo) e, soprattutto, tendrel (o rten-’brel), che si può riferire ad una gamma di significati abbastanza ampia nel campo dell’iconografia religiosa.
Questo termine è formato da ten, che significa supporto, e da drel, ovverosia dipendenza, sottomissione a determinate condizioni esteriori, rimandando immediatamente al concetto di interdipendenza caro alla visione buddhista del mondo. Indicando dunque che tutti i fenomeni sono in relazione e dipendenti gli uni dagli altri, ne consegue che nulla esiste in modo indipendente, da se stesso; codesta vacuità di esistenza inerente (in tibetano śūnyatā), costituisce una caratteristica coessenziale dell’insegnamento buddhista, tibetano e non solo.
Secondo la concezione propria del buddhismo, infatti, chiunque comprenda, assimili e viva l’aspetto vuoto ed impermanente delle cose e dei fenomeni, ed il loro carattere condizionato, prende la realtà nel suo senso più autentico, perforando quella patina di illusorietà e transitorietà connessa ad ogni fenomeno.
Con l’estinzione dell’illusione e dei concetti erronei, apparenti, si compie anche il primo passo in vista della cessazione della sofferenza. Non bisogna quindi stupirsi se, in un contesto culturale buddhista come quello tibetano, un simbolo che richiami la vacuità e l’interdipendenza sia considerato come sommamente favorevole.
Risulta immediato constatare che l’espressione tendrel non si riduce ad un termine tecnico riservato al registro filosofico, finendo piuttosto per essere impiegato nel linguaggio comune ad indicare una concatenazione di circostanze favorevoli, il segno di una fortuna imminente, un presagio favorevole eccetera. Lo si sente infatti utilizzare in relazione ad atti o eventi specifici, ad oggetti, ad immagini o forme di espressione più adeguate di altre per designare condizioni generatrici di un risultato auspicato, o ancora per rappresentare tali condizioni o indicarle con maggiore chiarezza.
Secondo un’interpretazione più estesa, ogni fenomeno – colori, forme, suoni, movimenti, qualità olfattive, gustative e tattili – può essere considerato un tendrel. Perché tutto, in ultima istanza, può essere sussunto nei concetti di interdipendenza e vacuità. Ciò vale in modo particolare per tutte le qualità che sono riconducibili agli organi sensoriali di percezione.
In questo orizzonte, i simboli assolvono ad una funzione filosoficamente fondamentale, quella dell’iconicità, ovvero la proprietà di raffigurare visivamente e veicolare significati, distillandone il senso più profondo ed ideale. Nella cultura tibetana i simboli vengono spesso utilizzati come dono ornamentale in occasione di eventi importanti come un matrimonio, una nascita, un arrivo o una partenza, allo scopo di indurre e produrre un effetto di suggestione positiva.
In un certo senso un tendrel può essere contemporaneamente considerato come un simbolo, se si guarda all’effetto auspicato, o come un presagio, quando ci si riferisce ad una causa o ad una circostanza concomitante che si manifesta nel presente e che si dovrà mettere in relazione con un effetto futuro.