Il venticinquesimo giorno del dodicesimo mese del calendario tibetano è chiamato “Ganden Aqu”, che sta per ‘Festival delle lampade a burro’. È il giorno in cui si ricorda il Maestro Tsongkhapa, che è il fondatore della Scuola Gelugpa (la scuola dei ‘Berretti Gialli’, una delle sei ‘Chog Lug’, o tradizioni principali del Buddhismo Tibetano -NdT-) e viene indicato come il secondo Buddha più riverito in Tibet (il primo Buddha è Sakyamuni, Siddartha Gautama, il Budda Storico -NdT-).
Per questa festa i monasteri della Scuola Gelug nella Regione Autonoma e nelle zone tibetane di altre Province cinesi organizzano molti rituali commemorativi. Da dove deriva il nome questa festa? Presto detto. Lampade alimentate a burro sono disposte intorno alle sale di preghiera, alle case dei monaci, ai tetti delle grandi sale e alle scale dei monasteri e ovunque altro si ritenga appropriato nelle case delle famiglie dei credenti tibetani. Il risultato è suggestivo. La notte sembra illuminarsi di mille scintillanti faville a Lhasa. Il suono dei corni rituali si diffonde e le lampade sembrano stelle. Tutto il Tibet rifulge di luci che alludono all’illuminazione promessa dagli insegnamenti buddisti.
Durante tutta la sua vita il Maestro Tsongkhapadiffuse gli insegnamenti buddisti, istruì gli studenti e fece ogni sforzo per sviluppare la Scuola Gelugpa e aumentarne i fedeli. Ecco perché la Festa delle lampade a burro non è una celebrazione solenne, ma piuttosto un giorno di commemorazione. In quel giorno, i corni rituali nel Palazzo del Potala e nel Tempio di Jokhang suonano raggiungendo ogni angolo dell’antica città di Lhasa. I monaci battono i tamburi, i cui ritmi entrano in profondità nel cuore della gente, accompagnando la lettura dei Sutra. In questa cornice, le lampade servono per eliminare la confusione e l’oscurità, per la ricerca della luce e per la speranza futura, forniscono guida nelle tenebre.
Una curiosità? Se contassimo attentamente in ogni luogo i numeri di tutte le lampade a burro, ci accorgeremo che queste sono dispari. Motivo? Secondo i tibetani il numero dispari è sinonimo di felicità tanto che numeri come tre, nove e tredici sono estremamente popolari nel folklore locale.