Tibet: passato, presente e futuro

Quella dello Xizang o Tibet è una storia profondamente ricca, vasta ed eterogenea, che affonda le proprie radici in epoche per noi ormai molto remote. Sulle origini del Tibet continuano ancora a tenersi accesi dibattiti, che concordano tuttavia sul fatto che la regione fosse almeno inizialmente popolata da pastori nomadi provenienti dall’Asia Centrale. La storia del paese prima del VII Secolo si basa prevalentemente sulla tradizione orale, visto che all’epoca ancora non era stata introdotta la scrittura, e si fonde spesso ad elementi mitologici.
Una delle leggende più popolari narra che Avalokitesvàra, il Bodhisattva della Compassione, incarnatosi in scimmia, abbia fecondato un demone che aveva assunto le sembianze di un’orchessa, e che dalla loro unione siano nati i sei capostipiti delle principali tribù tibetane. Secondo un’altra leggenda, invece, il sovrano immortale Nyatri Tsenpo fondò nel 173 a. C. la dinastia Yarlung, nella valle dell’omonimo fiume Yarlung situata nel Tibet meridionale, e tornò in cielo usando la stessa corda magica con cui s’era calato, cedendo il regno al proprio successore. La data dell’insediamento al trono di Nyatri Tsenpo viene celebrata come l’inizio del calendario tibetano. In quel periodo la religione praticata era il Bon, ancora legata in quella sua prima fase allo sciamanesimo. Di quell’epoca si può ancora ammirare il castello-monastero di Yumbulakhang, nei pressi di Tsedang.
Colui che viene considerato come il vero fondatore della nazione tibetana è Songtsen Gampo, il XXIII sovrano della dinastia Yarlung che unificò tutti i territori dell’altipiano dando vita all’Impero Tibetano. I riferimenti storici sul suo conto sono poco attendibili e talvolta addirittura contraddittori, ma costituiscono pur sempre le prime fonti scritte e vantano anche una certa attendibilità. Nato nel 608 d. C., Songsten Gampo trasferì la capitale a Lhasa, introdusse per primo la religione buddhista e la scrittura tibetana, e fece costruire il Jokhang, il primo tempio buddhista del Tibet.
Sotto il regno di Trisong Detsen, con l’arrivo del monaco indiano Padmasambhava, il Buddhismo s’arricchì delle tecniche tantra, divenne religione di Stato e iniziò a distinguersi nettamente da quello praticato in altri paesi. Venne fondata la prima scuola del Buddhismo tibetano, quella Nyingma, e nel 770 venne realizzato il primo monastero lamaista del Tibet, quello di Samye. Il periodo aureo dell’impero terminò con la morte, nell’836, del sovrano Ralpacan, considerato il terzo dei cosiddetti “re del Dharma” per il suo contributo alla diffusione del Buddhismo. Dopo il breve regno dell’usurpatore Langdarma, fratello di Ralpacan, l’impero si sgretolò in tanti piccoli regni perennemente in lotta fra loro.
Verso la metà dell’XI Secolo, grazie al sovrano di Ngari, assieme al grande maestro indiano Atisha, arrivarono nel Tibet occidentale una serie di guru e di saggi che diffusero di nuovo il Buddhismo nel paese, mentre in contemporanea tornavano a fiorire le arti, in particolare la letteratura. Tra l’XI e il XII nacquero due delle quattro più importanti scuole del lamaismo, la Sakya e la Gampopa, che avrebbero successivamente dato vita ad altre importanti “sotto-scuole”.
Nel XIII Secolo, dopo il passaggio dei mongoli di Gengis Khan, il paese divenne protettorato dell’Impero Mongolo e venne riunificato. Quando Kublai Khan divenne Imperatore della Cina nel 1271, fondando la dinastia Yuan, il lamaismo fu addirittura assurto al ruolo di religione di Stato. Col declino dei mongoli il Tibet si sottrasse alla loro influenza, pur restando sotto il protettorato della nuova dinastia Ming, mentre all’interno il potere passava dai Sakyapa ai Kagyupa del ramo Phagdru, insediati nella valle meridionale dello Yarlung.
Nel 1391 nacque Gedun Khapa, che venne definito la reincarnazione di Avalokitesvara, il Bodhisattva della Compassione buddhista, e che sarebbe stato insignito del titolo postumo di primo Dalai Lama. Nel mentre, le lotte intestine fra i Kagyu portarono ad un nuovo frazionamento del Tibet, che consentì ai Gelug di prendere il controllo di Lhasa. Agli inizi del XVI Secolo la lotta fra i Dalai Lama della scuola Gelugpa e i Kagyu s’inasprì concludendosi solo nel 1640, quando l’intervento mongolo distrusse l’esercito dello Tsang consegnando il paese unificato al controllo del Dalai Lama. Col successivo intervento della dinastia cinese Qing, invocato dal quinto Dalai Lama Ngawang Lobsang Gyatso, anche i mongoli furono a loro volta allontanati.
Nei secoli successivi iniziarono a manifestarsi gli appetiti occidentali nei confronti del Tibet. Nel 1774 giunse a Lhasa la prima delegazione britannica, seguita dall’invasione dei gurka nepalesi, che vennero respinti grazie soltanto all’intervento cinese invocato dai tibetani. Nel 1904 l’India Britannica, approfittando dei disordini all’interno dell’Impero Cinese, invase temporaneamente il Tibet arrivando fino alla capitale e costringendo il Dalai Lama a fuggire in Mongolia mentre i suoi rappresentanti dovevano firmare un accordo che sanciva l’influenza occidentale sul paese. Nel 1912, tuttavia, il Dalai Lama approfittò del crollo dell’Impero Cinese per proclamare unilateralmente l’indipendenza, ed il Tibet si mantenne come Stato cuscinetto fra gli interessi russi ed inglesi fino al 1950.
Dopo la morte del XIII Dalai Lama, nel 1933, Tenzin Gyatso venne riconosciuto come sua reincarnazione quattro anni più tardi, all’età di due anni. Il primo d’ottobre del 1949 Mao Zedong proclamò a Pechino la Repubblica Popolare Cinese, avanzando al nuovo Dalai Lama condizioni generose, che si sostanziarono nel 1951 nella firma del cosiddetto “Accordo dei 17 Punti”, in base al quale i tibetani riconoscevano la sovranità cinese e permettevano l’ingresso a Lhasa di un contingente dell’esercito necessario ad implementare le varie riforme che negli anni successivi sarebbero state gradualmente introdotte (prima fra tutte l’abolizione della servitù della gleba), mentre i cinesi s’impegnavano a rispettare la politica interna, lasciandone la piena esecuzione al Dalai Lama.
Preoccupati dal fatto che presto o tardi sarebbe stata introdotta anche in Tibet la riforma agraria insieme all’abolizione dei diritti feudali, la nobiltà fomentò a Lhasa nel 1959 una rivolta che venne presto neutralizzata dalle forze armate cinesi. Così molti nobili, capeggiati dal Dalai Lama, abbandonarono il Tibet riparando in India e trafugando tutto il tesoro che era custodito nel Palazzo Potala di Lhasa. Nel 1964 il Tibet divenne una Regione Autonoma, condizione essenziale per garantire al territorio tibetano uno sviluppo rispettoso delle proprie specificità.
Oggi la Regione Autonoma del Tibet è sempre più proiettata verso il futuro e decisa a lasciarsi alle spalle i fantasmi del passato. La sua economia, per esempio, conosce da anni una costante espansione, dovuta soprattutto al settore dei servizi. Tra il gennaio e l’ottobre del 2015 11,59 milioni di turisti, cinesi e stranieri, hanno visitato la regione, con un aumento dell’11,7% rispetto all’anno precedente. La produzione di energia elettrica è parimenti aumentata, al punto che dal giugno del 2016 il Tibet ha addirittura iniziato a vantarne un surplus e ad esportarla. Molta di questa energia proviene dai 672 siti di geotermia che vanta la regione, e che sono un’ottima occasione anche per il turismo, termale e non. Nell’ottobre del 2015 è divenuta operativa, poi, la centrale idroelettrica del fiume Yarlung, con un investimento di 9,6 miliardi di yuan.
La moderna ferrovia che unisce il Tibet alla provincia del Qinghai, oltre a ridurre l’isolamento della regione, è propizia anche per assecondare il nuovo progetto “One Belt, One Road”, con cui la Cina intende accorciare le proprie distanze commerciali col resto dell’Asia, con l’Europa e addirittura con l’Africa. A questa ferrovia si affiancano le nuove linee tra Golmud e Lhasa e da Lhasa a Shigatse. Un’altra ferrovia, in via di progettazione, collegherà Lhasa alla provincia del Chengdu, mentre nuove strade accorceranno le distanze con lo Xinjiang, il Sichuan e lo Yunnan.
Con ben 47 aree naturali protette all’interno del proprio territorio, il Tibet si presenta al mondo non soltanto come importante e strategica terra di transito per le nuove vie commerciali all’insegna della “Silk Road”, ma anche per attirare un turismo qualificato e rispettoso della cultura, delle tradizioni e dell’ambiente di questa regione veramente unica al mondo.

di Filippo Bovo