TIBET, ULTIMA FRONTIERA DA ESPLORARE- SECONDA PARTE

  • by Redazione
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  • 30 Giu 2017
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Durante il suo viaggio lungo la Via della Seta, il veneziano Marco Polo, insieme al padre  Niccolò  e allo zio  Matteo  giunse nella  Cina settentrionale (Catai): Niccolò, Matteo e Marco Polo intrapresero un viaggio nel  1271. Viaggiarono verso l’interno, attraversando l’Anatolia  e l’Armenia. Scesero quindi verso il fiume  Tigri, toccando con ogni probabilità  Mossul  e  Bagdad. Giunsero fino al porto di  Ormuz, forse con l’intenzione di proseguire il viaggio via mare. Continuarono invece a seguire la via terrestre e, attraverso la  Persia  e il  Khorasan, raggiunsero  Balkh  e il  Badakhshan. Superarono, in quaranta giorni, il  Pamir  e scesero verso il  bacino del Tarim. Attraverso il  deserto dei Gobi  giunsero ai confini del  Catai, nel Tangut, la provincia più occidentale della Cina. Quindi proseguirono lungo la parte settentrionale dell’ansa del  Fiume Giallo, arrivando infine a  Khanbaliq, l’antica Pechino, dopo un viaggio durato tre anni e mezzo. Nel suo percorso, Marco Polo attraversò certamente alcune regioni limitrofe al Tibet, dedicando a questa regione misteriosa e sconosciuta in alcuni passi del suo Il Milione nei quali riporta notizie di un Tibet come regione dall’antica grandezza, ora devastata dalle scorribande mongole, pericolosa da percorrere e impervia: Et poi che s’è cavalcato cinque giornate, si trova una provincia desolata nominata Thebeth . Questa provincia chiamata Thebeth è molto destrutta, perché Mangi Can la destrusse al tempo suo, per la guerra ch’egli hebbe con quella: et vi si veggono per questa provincia molte città et castella tutte rovinate et desolate, per lunghezza di venti giornate.  Et perché vi mancano gli habitatori, però le fiere salvatiche, et massime i leoni sono moltiplicati in tanto numero che è grandissimo pericolo a passarvi la notte: et li mercatanti et viandanti, oltra il portar seco le vettovaglie, bisogna che alloggino la sera con grande ordine et rispetto, per causa che non li siano devorati i cavalli. […] Cavalcasi adunque per questa contrada venti giornate, continuamente trovando simili salvatichezze, et non trovando alloggiamenti né vettovaglie, se non forse ogni terza o quarta giornata, nelle quali si forniscono delle cose al viver necessarie.  In capo delle qual giornate si comincia pur a veder qualche castello et borghi, che sono fabricati sopra dirupi et sommità de’ monti, et se intra in paese habitato et coltivato, dove non vi è piú pericolo di animali salvatichi. [..] Questa detta provincia di  Thebeth  è suddita al dominio del  Gran Can, et similmente tutte le regioni et provincie soprascritte; doppo la quale si trova la provincia di  Caindú.

Si ritiene che il presbitero francescano Odorico da Pordenone sia da considerarsi il primo europeo ad essere penetrato nell’altopiano sino a raggiungere la città sacra di Lhasa. Era la prima metà del XIV secolo quando Odorico partì missionario per l’Oriente: attraversò durante il suo viaggio le città di  Trebisonda,  Erzurum,  Homs  e  Baghdad. Giunto a  Thane  (che ora è un sobborgo di  Bombay), Odorico classificò la popolazione come  idolatra, perché adoravano fuoco, serpenti ed alberi; la città era stata però conquistata di recente dai musulmani, i quali condizionavano la vita religiosa. Odorico proseguì toccando Ceylon,  Canton  e infine, dopo circa cinque anni di viaggio, raggiunse  Pechino, dove fu ricevuto dall’imperatore  Yesün Temür Khan, pronipote di  Kublai Khan, che aveva conosciuto  Marco Polo  (allora la  Cina  era ancora sotto il dominio dei  mongoli). Attraversò il territorio tibetano nel suo viaggio di rientro da Kambaluk in Italia e, primo europeo, ad entrare a  Lhasa, da dove attraversò poi la  Persia  e l’Armenia.

I missionari del XVII secolo

Dopo l’avventura di Odorico da Pordenone non si ha alcuna notizia di altro europeo che sia riuscito a penetrare l’impervio Tibet. Bisognerà attendere i primi decenni del XVII secolo perché il Tibet entri nella storia d’Europa dell’evo-moderno. Le conoscenze che si avevano allora del Tibet erano molto vaghe e si limitavano alla citazione del sentito dire dei viaggiatori; il più delle volte si attribuiva al Tibet ciò che propriamente apparteneva alle regioni circostanti. A parte Odorico da Pordenone nessuno era mai stato sul tetto del mondo.

Nel 1576 si registra un episodio destinato a cambiare la storia delle esplorazioni del Tibet: due Padri della Compagnia di Gesù negano l’assoluzione ad alcuni mercanti europei rei di aver defraudato il Governo del Gran Moghul. L’imperatore Akbar, una volta venutone a conoscenza, mandò a Goa un’ambasciata con l’invito a corte per i due missionari. Per mezzo di questi Padri appartenenti alla Prima legazione alla corte del Gran Moghul inizia una sistematica ricerca sul Tibet e le sue caratteristiche. Da qui e per i due secoli seguenti, l’altopiano sarà campo di esplorazione e studio esclusivo dei missionari cristiani. La prima notizia fatta pervenire nel Vecchio Continente è a firma di Padre Rodolfo Acquaviva, il superiore della missione, che in una missiva indirizzata ad un parente parla della scoperta di una nuova nazione chiamata Bottan i cui territori si estendevano al di là di Lahore, presso il fiume Indo. La notizia era stata raccolta, insieme ad altre, da Padre Monserrate, lo storico della missione gesuita che nel suo Commentario annota: “al di sopra di tale fortezza, verso oriente, nella parte più interna dell’Imao abita una popolazione selvaggia e barbara, detta dei Bothi o Bothanti. Non hanno re, ma abitano nei villaggi a tribù. […] Si dice che queste popolazioni abitino le montagne dell’Imao dal castello di Nagar, verso settentrione, fino ai Caspiri. Hanno lingua propria. Forse sono i popoli che Plinio chiama Casiri, là dove dice: le tribù indiane dei Casiri, che abitano nelle parti interne, verso la terra degli Sciiti, si cibano di carne umana. Diogo d’Almeida depone asserendo che questo regno del Thibete è al di là di quello del Guiscumir, da poco assoggettato dai re del Moghul, e che tra questo regno e quello del Thibete non vi sono che alcune catene di montagne, altissime. […] Hanno molti sacerdoti che osservano il celibato come i nostri ed ai nostri sono pure somiglianti nei vestiti, eccetto che essi portano tutta la testa rasata. Hanno il vescovo che chiamano lamhâo”.