La scoperta europea del Tibet
“Ora abbiamo avuto un’altra missione con la scoperta che il padre Antonio de Andrade, superiore della missione del Moghul, ha fatto del Tibet regno che confina con la Cina; della scoperta di quel regno, mando a vostra paternità la relazione”. Con questa missiva Francesco de Vergara, padre superiore della missione di Goa, annunciava al generale di Roma che il primo europeo aveva violato l’ardua difesa delle montagne e i fascinosi segreti del tetto del mondo. Il Tibet fu, quindi, svelato agli europei da un gesuita portoghese nativo di Oleiros entrato sedicenne nella Compagnia di Gesù di Coimbra sul finire dell’anno 1596. Nel 1624 il religioso riuscì nell’impresa di aprirsi una via nell’altopiano da occidente e di farsi ricevere dal Re di Gugè. Il De Andrade appuntò note del viaggio e ne rese conto in una lettera celebrativa inviata a Lisbona nel 1926 con l’altisonante titolo di Nuova scoperta del Gran Catai o dei Regni del Tibet, fatta dal Padre Antonio de Andrade, della Compagnia di Gesù, portoghese, nell’anno 1924 che viene introdotta da una ulteriore lettera in cui si scrive che tra le grandi felicità e vittorie dell’anno 1625 la Spagna può contare e cantare la gioconda notizia della nuova scoperta del grande Catay e dei regni del Tibet. […] Il territorio del Tibet, se sono giuste le informazioni che abbiamo prese, è vastissimo e sembra che sia ben coltivabile e ricco d’acqua, avendo noi trovato in esso abbondanza di frumento e riso ecc., di frutta, come l’uva, le pesche ed altre, come dianzi s’è detto e come ci assicurano persone pratiche di quelle terre.
Nel 1625 ai gesuiti fu permesso di aprire una missione a Tsaparang. La relazione della fondazione di questo avamposto cattolico in Tibet è del 1626 che si apre con l’espressa volontà di voler dare al destinatario della missiva una breve relazione della missione in Tibet, nella quale siamo entrati in cinque della Compagnia e nei vari capitoli di cui si compone traccia un dipinto veritiero dello scorrere della vita quotidiana della popolazione, della religione, delle usanze e dei costumi e dei vari giochi di potere politico e religioso. Padre Godihno nello stesso anno parlerà di come la divina bontà che ci aveva ispirato il disegno del viaggio al Catai, detto anche Grande Thibeth, vi ci ha condotti felicemente. Vi siamo arrivati dopo aver percorso un lungo cammino: otto interi mesi di questo lungo viaggio, perché abbiamo dovuto anzitutto attraversare in tutta la sua lunghezza l’impero del Gran Moghul; di poi usciti da quello, siamo entrati in un altro regno un po’ più piccolo che si chiama Comao. Ma anche se più piccolo, noi abbiamo penato di più a passarlo perché abbiamo dovuto viaggiare continuamente su altissime montagne, che la natura sembra abbia scelto come depositi delle sue nevi, tanto queste vi sono ammassate.
Mossi dal consiglio e dall’invito proprio del De Andrade, già nel 1627 fu inviati in Tibet dall’India una nuova missione che salì sull’altopiano fino a Shigatse dove i missionari Giovanni Cabral e Stefano Cacella furono ricevuti dal Re di Utsang. In questo villaggio fu istituita una nuova missione gesuita nel 1628. Racconta il Cabral che partito il 18 dicembre [ed] arrivai il venti gennaio [1628], avendo dovuto fare alcune tappe prima di arrivare alle terre del re, fiducioso che questa missione potrà divenire una delle più gloriose della Compagnia. Essa è la porta della Tartaria, la Cina e a molti regni pagani.
Nella seconda metà del XVII secolo altri padri gesuiti europei raggiunsero l’altopiano tibetano. È il caso del missionario austriaco Giovanni Grueber edi Alberto D’Orville, nato a Bruxelles, che muniti di passaporto imperiale mossero da Pechino in un lungo viaggio per Agra al fine di studiare la via che, passando per il Tibet, arrivasse in India passando la catena dell’Himalaya. Importante è l’opera del secondo che, esploratore e cartografo, lungo il cammino fece rilievi cartografici precisi su latitudini e longitudini. Partito il 13 aprile del 1661 da Pechino entrò in territorio tibetano tre mesi più tardi mentre giunse a Lhasa l’8 ottobre. I resoconti del viaggio dei due Padri della Compagnia di Gesù furono raccolti da Athanasius Kircher nella sua opera China monumentis, qua sacris quà profanis, nec non variis naturæ et artis spectaculis, aliarumque rerum memorabilium argumentis illustrata, conosciuta come China Illustrata, stampata in lingua latina nel 1667 ad Amsterdam. In particolare, lo scritto di Kircher è importante perché riporta, per la prima volta, l’incisione della città di Lhasa e la descrizione dettagliata del Potala.
Il XVIII secolo: Francesco Orazio della Penna
Nato a Pennabilli, nel Montefeltro, nel novembre del 1680, ultimo figlio del conte Orazio Olivieri, Francesco Orazio della Penna entrò nell’Ordine dei cappuccini l’8 novembre 1700 nel convento di Pietrarubbia. Nel 1712 fu scelto per partecipare alla terza spedizione in Tibet, dove era stata fondata nel 1707 una missione per iniziativa del padre François-Marie de Tours. Imbarcatosi a Lorient, in Bretagna, il 15 agosto 1712, il 4 settembre 1716, partì da Katmandu insieme al prefetto della missione Domenico da Fano e Giovanni Francesco da Fossombrone alla volta di Lhasa dove giunse il primo giorno del mese di ottobre. Qui conobbe Ippolito Desideri che vi era giunto il 18 marzo dello stesso anno: se per molto tempo i geografi ritennero l’Asia centrale e il Tibet in particolare terre misteriose, isolate, grande fu il contributo alla conoscenza di queste terre del gesuita pistoiese che lasciò una importante relazione su questa parte del mondo. Desideri fu un grande viaggiatore, visitò il Tibet e ne lasciò ampia testimonianza. Un lavoro, il suo, basato sulla conoscenza diretta dei luoghi e degli eventi grazie alla sua opera di missionario, ma anche di esploratore e viaggiatore instancabile. Durante il suo soggiorno sull’altopiano conobbe usi, costumi e tradizioni del suo popolo.
Francesco Della Penna intraprese con questi lo studio della lingua tibetana nel monastero lamaista di Sera, situato a circa 4 km a nord di Lhasa. Frutto di tanto studio e lavoro furono una ricca relazione sulla storia, la geografia e le istituzioni del Tibet e un dizionario tibetano-italiano in 35.000 vocaboli, ultimato prima del 1732. Nel marzo del 1739 riprese la via per il Tibet, imbarcandosi a Lorient. Da Chandernagore e Patna arrivò a Katmandu, dove trovò una situazione molto più favorevole della precedente. Lasciato il Nepal nell’ottobre 1740, il missionario italiano giunse a Lhasa i primi giorni del 1741 accolto cordialmente da Pho lha nas che, in cambio dei ricchi doni del papa e del cardinal Belluga, concesse ai missionari libertà di culto e di proselitismo. Con questi buoni auspici il Della Penna e i suoi confratelli svolsero una fervida attività pastorale, che finalmente diede i suoi frutti nella conversione e battesimo di circa sessanta persone, delle quali venti erano tibetane. La cerimonia, effettuata nel giorno di Pentecoste il 13 maggio 1742, segnò però l’inizio della fine. Il lama tibetano si opposero decisamente alla prosecuzione dell’attività dei cappuccini e il re, sebbene gradualmente, ritirò il suo appoggio. Il 20 aprile 1745 il prefetto e i suoi confratelli lasciarono Lhasa per non ritornarvi più.
Un altro europeo troviamo in Tibet nello stesso periodo, l’olandese Samuel Van der Putte un grande viaggiatore, sembra sia stato l’unico europeo ad aver completato il viaggio dell’India attraverso Lhasa per tornare, poi, per la stessa via.