UN VIAGGIO NEI CONFINI TIBETANI: I TRE VEICOLI DEL BUDDHISMO

  • by Redazione
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  • 19 Feb 2019
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Dopo aver già identificato in questo sito le caratteristiche condivise di ogni tradizione buddhista – principalmente l’insegnamento sul karma e sulle Quattro Nobili Verità -, è arrivato il momento di analizzare le principali differenze tra le maggiori correnti.

Tradizionalmente, come anche a livello accademico, è abitudine suddividere il Buddhismo in tre correnti principali: il Theravada (definito anche Hīnayāna), il Mahāyāna e il Vajrayāna. 

Il Theravada, la cosiddetta Via degli Anziani, è l’unica sopravvissuta delle scuole buddhiste più antiche, le 18 scuole del Buddhismo dei Nikāya. A volte, anche se in maniera non appropriata, si usa il termine “theravada” per riferirsi a tutte queste scuole del Buddhismo primitivo, ma in realtà il Theravada nasce nello specifico dallo scisma tra gli sthavira ed i mahāsāṃghika (“quelli della grande assemblea”) ai tempi del Secondo Concilio Buddhista nel 334 a.C.

I mahāsāṃghika non accettarono le innovazioni che gli sthavira volevano portare nel codice di condotta monastico (il Vinaya), e così avvenne il primo grande scisma del Sangha buddhista, e lo Sthaviravāda  oggi è conosciuto appunto con il termine Theravada.

Quali sono le caratteristiche distintive del Theravada? Esso si basa interamente sul canone buddhista in lingua pali (rifiutando i più tardi testi in sanscrito che andranno a fondare la corrente Mahāyāna); fondamentale nel Theravada è la rinuncia al mondo. Essendo il nostro mondo condizionato – il saṃsāra – caratterizzato da impermanenza e sofferenza, per realizzare la Liberazione è necessario rinunciarvi e seguire l’integrità della condotta monastica, e tramite la meditazione realizzare il fatto che non esiste alcun sé individuale a costituire il nostro essere. Secondo il Theravada, noi non saremmo altro che un aggregato di elementi psicofisici in costante trasformazione, senza un nucleo centrale permanente che possa costituire la base di una identità fissa. Realizzando ciò, non tramite l’analisi intellettuale ma tramite la forza penetrante della meditazione, il praticante è in grado di distruggere le illusioni mentali e così raggiungere il nirvāṇa (chiamato “nibbāna” in lingua pali). 

Si crede che per chi lo raggiunga, chiamato Arhat (o “Arahant” in pali), cessi completamente la sofferenza. Finché è in vita, all’Arhat cesserà la sofferenza mentale e non proverà più attaccamento o avversione verso alcunché; al momento della morte, poi, finirà anche la sofferenza fisica e l’Arhat si dissolverà nel nirvāṇa, uno stato indefinibile paragonato nei testi tradizionali ad una fiamma che si spegne. 

Anche il Buddha, al momento della sua morte, secondo il Theravada è entrato nello stesso stato; per questo egli non è paragonabile ad una Divinità propriamente detta. Secondo il pensiero theravada il Buddha, come anche tutti gli Arhat, non sono in grado di ascoltare le nostre preghiere. Tuttavia, i devoti pregano i cosiddetti Tre Gioielli (Buddha, Dharma e Sangha) perché così facendo pensano di accumulare karma positivo. 

E’ pressoché impossibile, secondo il Theravada, raggiungere la Liberazione senza essere un monaco; in realtà il famoso testo Milindapañha e qualche altra fonte afferma che sia possibile, ma se un laico dovesse raggiungere lo stato di Arhat dovrebbe entrare immediatamente nell’Ordine monastico, altrimenti morirebbe in pochi giorni.  

Oggigiorno, il Theravada è molto diffuso nel sud est asiatico, principalmente in Thailandia (dove costituisce la religione di stato), in Sri Lanka, Cambogia, Myanmar e Laos. 

Il Theravada spesso viene chiamato Hīnayāna, ovvero “Piccolo Veicolo”, per distinguerlo dal “Grande Veicolo” (Mahāyāna). Molti, oggigiorno, affermano che non sia bene utilizzare questo termine perché sarebbe dispregiativo; tuttavia, per quanto alcuni mahayanisti possano usarlo in tal senso, spesso questo termine viene usato per autodefinirsi anche dagli stessi theravadin in Thailandia o in altri luoghi del sud est asiatico. “Piccolo”, infatti, può non essere inteso in forma dispregiativa, ma al contrario può essere un modo aristocratico per definire la propria Via, e a differenza del termine “Theravada”, l’ Hīnayāna è più comprensivo perché includerebbe tutte le scuole dei Nikāya del passato. Ritengo, pertanto, che il termine Hīnayāna sia legittimo e non discriminatorio. 

Il Mahāyāna è la seconda delle grandi correnti del Buddhismo. La sua origine è in realtà avvolta nel mistero; le prime scritture Mahāyāna  apparvero attorno al primo secolo a.C o al massimo al primo secolo d.C, ma le prime evidenze archeologiche della presenza di vere e proprie scuole di questa corrente si trovano nel quinto secolo d.C. Ciò che accadde nel mentre non è chiaro e ci sono differenti teorie da parte degli studiosi, ma quel che sembra è che inizialmente il Mahāyāna non sia stata una scuola a sé, quanto piuttosto un set di ideali e dottrine per gli aspiranti Bodhisattva. 

Chi sarebbe quindi il Bodhisattva? A differenza dell’Arhat del Buddhismo Theravada, che vuole raggiungere la Liberazione quanto prima e cessare la propria esistenza in essa, il Bodhisattva considera tale realizzazione poco compassionevole nei confronti degli altri esseri senzienti, che così facendo restano a vagare nell’oceano della sofferenza. Quindi il Bodhisattva preferisce posticipare la propria illuminazione, o comunque realizzare uno stato di illuminazione che non implichi una cessazione totale di sé, fino a che tutti gli esseri non siano liberati, quindi virtualmente per sempre. 

Venne pertanto sviluppata una dottrina che vede nei Buddha (e nei grandi Bodhisattva Trascendenti) degli Enti dalle caratteristiche divine e sovraumane. La mente illuminata dei Buddha è il cosiddetto Dharmakāya, il corpo di Verità, in unione con tutta la sfera dell’esistenza (dharmadhātu). Di fatto è onnisciente, e da questo stato illimitato egli si emana in infinite forme per aiutare gli esseri.

In questo contesto pertanto è centrale la compassione, ma anche la saggezza  (prajñā) che realizza la vacuità (śūnyatā). Il tema della vacuità viene sviluppato molto rispetto al Theravada; in quest’ultimo il non-Sé riguarda solo la persona, nel Mahāyāna invece caratterizza sia la persona che i fenomeni, in sostanza l’intera sfera dell’esistenza.  Proprio centrati sul tema della vacuità infatti sono i primi Sutra del Buddhismo Mahāyāna: i Prajñāpāramitā Sutra. 

Dall’India, il Buddhismo Mahāyāna si è poi diffuso in Cina, Giappone, Vietnam e Corea, e costituisce la corrente buddhista più ampia (53% di seguaci, in confronto al 6% del Buddhismo Vajrayana e del 36% del Buddhismo Theravada). 

Infine, il  Vajrayāna (veicolo di Diamante) costituisce l’ultima delle tre correnti del Buddhismo. Secondo molti esso è parte integrante del Mahāyāna ma le sue caratteristiche distintive lo rendono considerabile come una scuola a sé. A livello filosofico non c’è molta differenza con il Mahāyāna: il praticante si identifica nell’ideale del Bodhisattva e la vacuità resta al centro della dottrina. Tuttavia, il Vajrayāna adotta le pratiche esoteriche di quel corpus di testi chiamati Tantra. 

Si tratta di pratiche accessibili solo dopo una iniziazione (abhisheka) da parte di un Guru (Lama in Tibet), che pertanto ha un ruolo centrale in questa corrente. Basandosi sul principio – già presente nel Buddhismo Mahāyāna – che la nostra natura sia la natura di Buddha (Tathāgatagarbha), il Vajrayāna utilizza dei metodi di visualizzazione e recitazione di mantra in cui il praticante si identifica direttamente con vari aspetti di Buddha, il cosiddetto Deva Yoga (Yoga della Divinità). Molto importanti sono anche le pratiche interiori di sviluppo energetico, in cui si manipolano le energie del corpo per ottenere particolari stati psichici. 

Il Buddhismo Tibetano è la forma di Buddhismo Vajrayāna più famosa, ma bisogna ricordare anche il Buddhismo Newar in Nepal, lo Shingon in Giappone. In Cina questa corrente è generalmente conosciuta come Tángmì Hanmi 漢密 (唐密, “Esoterismo Cinese”).

Se si vuole comprendere il Buddhismo Tibetano è fondamentale conoscere l’operatività spirituale propria del Vajrayāna, a cui dedicheremo in futuro studi approfonditi.