Chiunque sia andato almeno una volta nella sua vita presto la “Montagna Sacra”, descrive questo cammino di spiritualità come incredibile ed unico al mondo. Ma quando andare? Il periodo migliore per affrontare questo irto cammino sarebbe in primavera, nel momento in cui le fredde temperature diventano mano mano più miti. Neo specifico tra maggio e giugno, quando
quando nella regione del Kailash si festeggia il Saga Dawa, durante il 4° mese del calendario tibetano. Per il famoso festival accorrono moltissimi pellegrini con i loro abiti tradizionali, oltre a monaci lamaisti provenienti da ogni angolo del paese.
In questo periodo i tibetani festeggiano la nascita del Buddha, la sua illuminazione, ovvero il nirvana, e la morte. Centinaia di fedeli locali partecipano inoltre all’innalzamento del grande palo di preghiera nei pressi della piattaforma Mahasiddha dove vengono fatte le celebrazioni vere e proprie del Saga Dawa, Ma in cosa consiste questo “Palo Sacro” e perché è così importante?
La leggenda del Tarboche, ovvero palo sacro in tibetano, racconta di un albero altissimo della vita dai poteri pressoché immortali poiché si autogenerai in questo luogo santo in quanto cimitero di lama e monaci e benedetto dal Guru Rimpoche che predisse che il tronco sarebbe servito da asta per le bandiere. Tuttavia la letteratura ha ampiamente documentato che tale rituale è di evidente matrice sciamanica, riconducibile a secoli prima l’arrivo del buddhismo in Cina.
Lo sciamanesimo tibetano aveva una concezione dell’universo come un’essenza suddivisa in tre livelli, ovvero Cielo, Terra e Inferi che sono collegati tra loro da un asse centrale.
Questo asse centrale, il Pilastro del Mondo o Asse Cosmico, che è la via che lo sciamano percorre in stato estatico per muoversi attraverso i tre piani, viene rappresentato simbolicamente nelle diverse culture con una Montagna Sacra o con un Albero del Mondo. E questo rito è riproposto appunto durante la cerimonia del Saga Dawa molto legata, al tempo stesso, ai riti e racconti hindu. Questi racconti focalizzano tutta la loro attenzione sul monte “Meru” in un punto imprecisato dell’altissima catena dell’Himalaya, poi identificato con il monte Kailash (6714 m).
Il collegamento della leggenda con la montagna non è casuale. Dal Kailash leggendario nasce un fiume che sfocia nel fiabesco lago Manasarovar dal quale, a loro volta, scaturiscono quattro fiumi mitici che scorrono in direzione dei quattro punti cardinali. In realtà, benché nessun fiume sgorghi direttamente dal Manasarovar, esistono quattro fiumi che dal monte scorrono, più o meno verso i punti cardinali ed il Kailash ha in effetti, quattro distinti versanti rispettivamente formati, secondo la leggenda e racconti, da oro, cristallo, rubini e lapislazzuli.Il Kailash sorge al centro di un’area che è la chiave del sistema idrografico dell’altopiano tibetano e dalla montagna scendono in direzioni diverse l’Indo (a nord), il Brahmaputra (Yarlung Tsangpo, a est), il Karnali (un affluente del Gange, a sud) ed il Suttej (a ovest).
Questi fiumi scorrono – secondo la leggenda – fino ai quattro angoli del mondo e lo dividono simmetricamente in quattro parti uguali: sud, lapislazzuli, Mabja Kambad (fiume che sgorga dalla bocca del pavone) ; ovest, rubini Langchan Kambab (fiume che sgorga dalla bocca dell’elefante) Suttej; nord, oro, Seng-ge Kambab (fiume che sgorga dalla bocca del leone) o Indo; est: cristallo Tamchog Kambab(fiume che sgorga dalla bocca del cavallo) Yarlung Tsangpo (Brahmaputra).
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