
A metà aprile, nel cortile del Tempio di Jokhang a Lhasa, era cominciato l’esame annuale per accedere al Geshe Lharampa: il massimo grado accademico del Buddhismo tibetano, riservato ai religiosi ed equivalente a un Dottorato in istruzione superiore. Ebbene, dopo 10 giorni di scritti alternati alle sessioni di dibattito pubblico sul Dharma, valutati anche dai propri abati, 13 di loro sono stati premiati. In testa alla classifica, un monaco 42enne – arrivato dal monastero Yendum della città di Chamdo dopo ben 29 anni di preparazione.

Perché “Ge-she” segna una tradizione risalente a 900 anni fa e significa “virtù-sapere”, mentre “Lharampa” designa da 400 anni il più alto dei 4 livelli del sistema di laurea che regola gli insegnamenti esoterici della Scuola Gelug. I candidati, mediamente 45enni e provenienti anche dalla provincia dello Yunnan, si sono infatti confrontati dopo almeno 15 anni di studio dei ‘Cinque Grandi Testi Canonici’ indiani alla radice del Buddhismo tibetano (Abhidharma, Prajñāpāramitā, Madhyamaka, Pramana e Vinaya). E, questo, perché il grado di Geshe è un onore sacro e quindi l’aspirazione di una vita – tant’è che, assieme alle reincarnazioni dei Buddha viventi, questo titolo accademico è uno dei pilastri dell’impianto filosofico-spirituale dell’Altopiano, della sua continuazione e della sua fioritura.

Negli ultimi 20 anni, circa 202 monaci hanno raggiunto il Dottorato – nel frattempo reso disponibile (con il nome Geshema) anche alle suore grazie alla prima donna in assoluto a ottenere il titolo: Kelsang Wangmo. Di origine tedesca e cattolica, ordinata suora tibetana nel 1991, studiosa degli argomenti richiesti per 17 anni, docente di filosofia buddhista a Dharamsala dal 2004 e premiata con il Geshe nel 2011.
Un’eccezione dalla regola plurisecolare, determinata delle sue evidenti capacità e che, solo un anno dopo, avrebbe aperto il sistema alle altre monache meritevoli, da allora dottorate a centinaia. Una riforma davvero rivoluzionaria, che ha inserito in un sistema tradizionalmente maschile la più equa uguaglianza di genere e di opportunità – ruoli accademici e di leadership inclusi.

Tradizione e vitalità, dunque. Che, con ogni generazione e differenza, donano nuova linfa e nuova vita a una delle più antiche sapienze al mondo. Curata, protetta e portata avanti in tutte le sue espressioni, scritture e rituali compresi.