A inizio settembre, avevamo parlato della digitalizzazione di mille thangka nella collezione del Palazzo del Potala: ebbene, il Tempio Shaolin nella provincia di Henan – culla della civiltà cinese – sta creando una piattaforma volta a preservare e condividere con il mondo il patrimonio di Conoscenza, Spiritualità e Arte buddhista.
‘Digital Shaolin’. Un lavoro meticoloso di recupero, restauro e – appunto – digitalizzazione, che finora ha coinvolto più di 30mila documenti, oltre 5mila pergamene e 246 pagode tombali. Ma che promette di allargare l’opera alle pitture e sculture del Tempio nonché, beninteso, alle arti marziali e la filosofia di vita in esse racchiusa. Cominciando con il kung fu Shaolin, che qui ha visto i suoi natali.
Un lavoro che, a volte, richiede la creazione di nuove tecnologie. Come quelle usate a Lhasa, perché meno invasive e più adatte alla digitalizzazione delle antiche biografie e scritture buddhiste in Tibetano e Sanscrito. Ieri, consumate dal Tempo e riservate ai visitatori e agli studiosi; oggi, in corso di restauro e – in 2mila – già accessibili online e tramite applicazioni mobili.
Infine, un lavoro di squadra a distanza. Perché il Buddhismo tibetano impara dall’India ma si completa grazie un po’ al Nepal e molto alla Cina. Confrontando, assimilando e integrando. Per poi generare un magnifico sincretismo, espresso negli scritti e in tutte le Arti – tradizionali e religiose – dell’Altopiano. Tant’è che oggi, a parte quello theravāda (seguito in Sri Lanka, Myanmar, Thailandia, Cambogia e Laos), il Buddhismo fuori dall’India è principalmente tibetano e cinese.
Un ponte, se vogliamo, tra Lhasa e Henan. Perché, come ben spiega ‘Il Monaco’, “è questione di pace, di grazia e di conoscere se stessi”. Che si appartenga al mezzo miliardo di fedeli dei ben 17 Paesi dell’Estremo Oriente e Sud-est asiatico oppure no.