Circa 16 varietà di orzo e colza, per un totale di 520 grammi, sono state imbarcate sul primo satellite riutilizzabile cinese (Shijian-19). Obiettivo – la ricerca sui semi in condizioni di micro-gravità, per rafforzare l’agricoltura e la tenuta del suolo sul “Tetto del Mondo”.
Il progetto fa parte di un programma più ampio, che riguarda la frutta, la verdura, l’erba ecologica, le piante della Medicina tibetana e il foraggio nelle difficili condizioni della Regione – a cominciare dall’aridità di alcune zone. Il primo laboratorio a terra, dedicato allo studio del germoplasma e dunque della vitalità, della germinazione e della moltiplicazione delle piante, era stato istituito questo maggio nella contea di Cona con il sostegno delle squadre di ricerca provenienti dalle province cinesi di Anhui e Shaanxi.
L’orzo dell’Altopiano tibetano, fondamentale per la dieta locale e pertanto coltivato dal sud-ovest al nord-est dei Himalaya, è particolarmente ricco di proteine, fibre e vitamine. Soprattutto, di beta-glucano – che rafforza il sistema immunitario, regola lo zucchero nel sangue e bilancia la pressione. Una pianta perciò indispensabile per la vita ad alta quota, tant’è che la sua coltivazione nel Tibet sembra risalga a 3.500 anni fa.
Un cereale dunque abituato alle basse temperature e persino al gelo ma che oggi, visti gli effetti del cambiamento climatico, ha bisogno dell’aiuto dell’uomo. Pena la scomparsa della tsampa (la farina tostata, che per la popolazione tibetana vale come il grano o il riso per altre culture), del pane di Songpan, dei biscotti con sesamo e miele, delle barrette di orzo e delle torte ma anche del chang (la birra locale, Qingke Jiu), del tè al burro di yak (anch’esso, contenente orzo) o di un distillato come il Qinghai Chun.
La preoccupazione per questo cereale riguarda, in realtà, l’intero globo – dall’Asia alle Ande e dalla Norvegia all’Egitto. E questo perché, nell’arco di circa 12mila anni, l’orzo si è adattato più di tutti alle diverse condizioni ambientali. Soffrendo però, in tempi moderni, di una maggiore fragilità, data da alcuni interventi di “direzionamento” genetico e da un clima mutato. Da qui, l’importanza di studiare i geni naturali che sono cambiati nei secoli con maggior successo, in modo da selezionare le varietà che meglio possano affrontare – negli stessi luoghi – le temperature più alte, le siccità prolungate e le tempeste più severe. E, siccome l’orzo è geneticamente simile al grano, al riso e al mais, le informazioni sulle sue capacità di sopravvivenza in condizioni estreme saranno utili anche per l’adattamento e la salvezza di queste altre colture – in molti casi, nazionali.