L’esperienza a contatto diretto col mondo orientale folgora chiunque si avventuri a queste latitudini tanto intellettualmente quanto spiritualmente, incantando e segnando l’animo. Come una calamita, l’Oriente ci richiama a sé e tutti noi cediamo alla sua seduzione, tuttavia in questo vortice di conoscenza reciproca, non dobbiamo mai lasciare la via maestra della verità per meglio comprendere le reali vicissitudini della storia che hanno formato le storie di mondi e di popoli.
A tale riguardo, per meglio comprendere la storia del Tibet è di particolare interesse il volume Antico Tibet, nuova Cina, pubblicato nel 1953 dalla grande studiosa francese Alexandra David-Néel, protagonista nei suoi numerosi viaggi in Asia dei radicali sconvolgimenti politici che avvennero nella Cina, prima e dopo la fondazione della Repubblica Popolare avvenuta nel 1949.
Di questo testo fondamentale, vanno sottolineati almeno tre aspetti. Anzitutto l’elemento di una autentica e documentata continuità storica dei rapporti tra Cina e Tibet, che affonda le proprie radici già dall’antichità: «Sarebbe inutile fare congetture su questo tema. Gettiamo semplicemente un colpo d’occhio sulla cartina geografica, consideriamo la posizione che il Tibet vi occupa ed esaminiamo con attenzione…Cerchiamo allora di delineare l’aspetto che ha l’attuale Tibet, il Tibet che, a parere sbagliato, è stato occupato dalla nuova Cina. Alcuni lo hanno descritto come se fosse un Paese sconvolto. Sia che si parli di invasione sia di aggressione cinese, entrambi i termini definiscono la situazione in modo non corretto. Cos’è accaduto in Tibet? Nulla che non sia già accaduto altre volte nel corso della sua storia, perciò non parleremo di occupazione del Tibet, perché la parola più giusta è rioccupazione. Nel corso dei secoli la storia del Tibet è stata strettamente legata a quella della Cina. Nel corso dei secoli Tibetani e Cinesi si sono affrontati sul campo di battaglia e sul terreno di una diplomazia rozza, ma non priva di astuzie, senza tuttavia riuscire mai a separarsi gli uni dagli altri. Le relazioni tra Tibetani e Cinesi risalgono a un’epoca anteriore al principio della nostra era. Le cronache cinesi ne fanno menzione a partire dal I sec. a.C. ma, sulla base di quanto ci è stato riferito, sappiamo che neppure quelli furono gli inizi. Questi rapporti sono stati, per lungo tempo, di natura violenta: si attaccavano, si massacravano, e le teste cadevano a migliaia. La frontiera sino-tibetana avanzava e indietreggiava seguendo le sorti delle incursioni, spesso respinte e continuamente rinnovate. Lo stesso è accaduto nei tempi moderni. Durante gli anni che ho trascorso in questo Paese, ho visitato Chamdo, Derge, Batang, Litang, le regioni lungo l’alto Mekong e ancora altri territori, via via occupati dai Cinesi e poi riconquistati dai Tibetani, o viceversa. I Tibetani – sembrano averlo completamente dimenticato – hanno avuto il loro momento di gloria militare tra il VII e l’VIII secolo. Nell’anno 763 le loro orde s’impadronirono di Chang’an (l’attuale Sian, capoluogo della provincia dello Shensi), allora capitale dell’Impero, nel cuore stesso della Cina. Intorno a quest’epoca i Tibetani si erano guadagnati la fama di grandi conquistatori, erano arrivati fino al Pamir e ai confini della Persia, avevano percorso tutta l’Asia centrale, si erano stabiliti ora in una regione ora nell’altra, per periodi più o meno lunghi di tempo. Poi giunse il declino. Le tribù tibetane si erano sparpagliate, la furia guerriera si era placata, senza tuttavia spegnersi completamente. Durante i secoli l’abbiamo vista ravvivarsi di fronte agli invasori mongoli o in occasione di lotte intestine, ma i Cinesi non sono mai scomparsi da questo panorama, sia che fossero in prima linea, sia sullo sfondo. Nel 1792 giunsero dal Nepal le truppe dei Gurka, che occuparono una larga parte del Tibet meridionale, compresa la città di Xigatze: i Cinesi vennero in aiuto ai Tibetani, e respinsero gli invasori. Fu imposto il pagamento di un tributo ai vinti, tributo che è stato pagato dal Nepal alla Cina no alla caduta dell’Impero. Così era ripresa la collaborazione a intermittenza tra i due perpetui avversari. I legami di amicizia o di inimicizia che di volta in volta erano andati creandosi tra Tibetani e Cinesi divennero più stretti: la Cina si attribuì una sovranità non molto rigida, ma reale, sul governo di Lhasa. Un amban, un alto funzionario cinese, di solito appartenente alla famiglia imperiale, prese residenza a Lhasa, dove esercitava – almeno nominalmente – un controllo sulla politica del Tibet…
Successivamente apparvero sulla scena tibetana la Russia e l’Inghilterra: la Russia in modo più morbido, l’Inghilterra, invece, con molta energia, ben decisa a sostituire la propria influenza a quella cinese. Ancora, dunque, battaglia: la spedizione britannica del 1904 forza la porta di Lhasa, la città proibita. L’Impero, forse a causa delle turbolenze interne, non si mosse per ricacciare l’aggressore. Non è certo che avessero le forze per resistere, comunque non fecero alcun tentativo in questa direzione, tanto che gli sfortunati Tibetani, confidando negli amuleti che i Lama avevano distribuito loro, combatterono da soli con coraggio e si fecero massacrare dalle truppe britanniche».
Nelle appendici dello stesso volume, la David-Néel affronta altri due temi di pari importanza: la complessità dell’universo buddhista cinese, con le sue straordinarie suggestioni spirituali ma altrettanto foriero di divisioni settarie e scolastiche; il varo della nuova legge agraria cinese, assolutamente moderata rispetto a possibili sconvolgimenti repentini nella regione tibetana, ed infine il fondamentale trattato firmato a Pechino il 23 maggio 1951, meglio conosciuto come Trattato dei 17 punti. La lettura del saggio di questa formidabile studiosa, è sicuramente una lettura indispensabile per coloro che, affascinati dalla verità storica, vogliono affacciarsi alle tematiche tibetologiche nella loro infnita galassia di complessità storico-religiosa.