Il Dalai Lama non sarà più ammesso in Mongolia

  • by michele
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  • 04 Gen 2017
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Il Dalai Lama non sarà mai più ammesso in Mongolia: questa è la decisione presa dal governo della Mongolia e annunciato dal ministro degli esteri  Tsend Munkh-Orgil.
La decisione è arrivata poche settimane dopo che il Dalai Lama ha visitato la Mongolia, dove è stato dal 18 al 23 Novembre. La visita era stata organizzata dal monastero di Gandan nella capitale Ulaan Baatar. A protestare, tuttavia, non sono state soltanto le autorità cinesi che vedono nel Dalai Lama un secessionista, ma anche lo storico monastero rivale di Ikh Khuree, il cui abate Sanjdorj Zandan ha percepito nella visita una intromissione del Dalai Lama negli affari interni della Mongolia ed un tentativo di diventare il capo del Buddhismo mongolo.
La visita – che ha visto come conseguenza dei severi provvedimenti presi dal governo cinese (aumento delle tasse sui minerali importati dalla Mongolia, chiusura delle frontiere ai camion, etc) – ha portato il governo mongolo a questa decisione: «Sotto questo governo, il Dalai Lama non sarà mai più invitato in Mongolia, nemmeno per motivazioni religiose», ha detto Tsend Munkh-Orgil al quotidiano Unuudur lo scorso martedì.
Con questa decisione, il governo tibetano in esilio incassa l’ennesimo fallimento e si trova in una posizione sempre più isolata. Al Dalai Lama ormai è vietato accedere agli unici due paesi al mondo che sono a maggioranza buddhista tibetana: ovvero il Bhutan, in cui il Dalai Lama non può accedere da quando suo fratello Gyalo Thondup cercò di farvi un colpo di stato, e la Mongolia, la cui maggioranza della popolazione segue proprio la scuola Gelug del Buddhismo Tibetano, la stessa scuola di cui il Dalai Lama fa parte.
Se si considera che il Dalai Lama non può neanche accedere in altri paesi con forte presenza buddhista quali il Nepal, la Thailandia, la Russia (in Siberia c’è una forte presenza di Buddhismo Tibetano) e diversi altri paesi del sud-est asiatico, si capirà come ormai Tenzin Gyatso sia isolato all’interno del contesto buddhista asiatico. Solo il Giappone, ovviamente, non fa problemi a dargli il visto, oltre che i paesi occidentali.
Viene dimostrata ulteriormente, pertanto, la politica fallimentare del governo tibetano in esilio, che sfrutta strategicamente la popolarità del Dalai Lama e la religione tibetana per perseguire la proprie mire secessioniste.