GIUSEPPE TUCCI: UN GRANDE ITALIANO ED IL SUO AMORE PER IL TIBET

  • by Redazione
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  • 27 Giu 2017
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Giuseppe Tucci nacque a Macerata il 5 giugno 1894. Frequentò le scuole elementari e medie nella sua città natale; poi si iscrisse alla Università di Roma. I suoi studi furono interrotti dalla prima guerra mondiale; mobilitato il 1° dicembre 1915, fu combattente al fronte, dal 1917 col grado di tenente. Congedato nell’ottobre 1919, nello stesso anno si laureò in Lettere presso l’Università di Roma. Negli anni seguenti lavorò per qualche tempo presso la Biblioteca della Camera dei Deputati. Incaricato di missione presso le Università indiane, risiedette in India dal 1925 al 1930, ricoprendo l’incarico d’insegnamento di cinese e d’italiano presso le Università di Shantiniketan e di Calcutta. Nel 1929 fu nominato Accademico d’Italia e nel novembre 1930 venne chiamato, per chiara fama, alla cattedra di Lingua e letteratura cinese all’Istituto Universitario Orientale di Napoli. Nel novembre 1932 passò alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Roma, come professore ordinario di Religioni e Filosofia dell’India e dell’Estremo Oriente. Fuori ruolo dal 1964, fu collocato a riposo nel 1969 e nel 1970 fu nominato professore emerito. Dal 1929 al 1948 compì otto spedizioni in Tibet e dal 1950 al 1954 sei in Nepal. Nel 1955 iniziò le campagne archeologiche nello Swat, Pakistan, nel 1957 quelle in Afghanistan e nel 1959 in Iran; campagne annuali che diresse fino al 1978. Promosse la fondazione dell’IsMEO (Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente) nel 1933 e ne fu Presidente dal 1947 al 1978, nel 1979 fu nominato Presidente Onorario. Diresse i periodici «Alle Fonti delle Religioni» (1921-1924), «Bollettino dell’IsMEO», dal 1936 col nuovo nome «Asiatica» (1935-1943), «Le scienze del mistero e il mistero delle scienze» (1946), «East and West» (1950-1978); di quest’ultimo rimase poi General Editor sino alla fine. Fu direttore dal 1950 della «Serie Orientale Roma», dal 1962 dei «Reports and Memoirs» del Centro Studi e Scavi Archeologici in Asia dell’IsMEO, dal 1969 della serie «Restorations» del Centro Restauri dell’IsMEO. Curò dal 1950 al 1973 la direzione scientifica della serie «Il Nuovo Ramusio», edita dalla Libreria dello Stato. Autore di numerosissime opere scientifiche, dirette non soltanto a lettori specialisti, curò sempre le relazioni culturali tra l’Italia e i paesi asiatici, dove tenne, in India, in Pakistan, in Iran, in Indonesia e in Giappone, molte conferenze. Morì il 5 aprile 1984 a S. Polo dei Cavalieri nei pressi di Tivoli.
In considerazione dell’eccezionalità delle imprese culturali delle quali fu promotore e protagonista Giuseppe Tucci, è indubbio il valore della sua biBiblioteca: 25.000 volumi confluiti nella raccolta dell’IsMEO, testimonianza di una indiscutibile e straordinaria cultura che spaziava nel mondo asiatico, dalla Cina all’India, dall’Iran all’amato Tibet. Collezioni di testi di carattere storico e filosofico, memorie e rendiconti di missioni archeologiche, preziosi testi d’arte spesso pubblicati in edizioni limitate, una sezione di lessici, dizionari e grammatiche per lo studio di molte lingue del continente asiatico rendono la sua raccolta bibliografica unica nel panorama delle Biblioteche italiane. Fin nel 1959 fu notificata e sottoposta a vincolo per il notevole interesse culturale da parte dell’allora Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti e donata in quello stesso anno da Giuseppe Tucci all’IsMEO.
Di questa grande collezione ricordiamo in questa sede per il loro straordinario valore l’insieme di circa 2500 Manoscritti tibetani, raccolti durante le spedizioni nel Tibet occidentale (1933 e 1935) e nel Tibet centrale (1937, 1948). All’epoca il materiale della donazione costituiva veramente una rarità, la cui unicità, con il passare del tempo ed in seguito alla pubblicazione di testi tibetani in India, nella Repubblica Popolare Cinese e nella stessa Regione Autonoma del Tibet, si è in qualche misura ridimensionata. Si conservano, tuttavia, nel Fondo opere inedite o ancora poco accessibili, che insieme a tutte le altre costituiscono una collezione di primaria importanza. È da notare che il grande valore del Fondo consiste anche, e oggi in particolare, nel suo materiale librario costituito da silografie e manoscritti, alcuni di pregevole fattura e veri testimoni di un’antica arte ormai scomparsa. Giuseppe Tucci raccolse i testi con cura, poiché ciò che lo animò sempre fu la ricerca di quei testi veramente rappresentativi di tutto ciò che per i Tibetani fu ed è shes bya. Espressione questa con cui si intende il campo di ciò che deve essere conosciuto ed è una definizione assai prossima a ciò che noi intendiamo come letteratura.

La letteratura tibetana è vastissima e per darne una sommaria descrizione è necessario distinguere fra letteratura canonica, cioè quella dovuta alla traduzione dei testi buddhisti e tutta la produzione di scrittori tibetani che trassero comunque ispirazione dal Canone dei testi sacri. Ma accanto a questa produzione, Tucci non manca di raccogliere opere dei massimi esponenti delle varie scuole in cui era diviso il buddhismo tibetano, così come non mancano testi riguardanti la religione Bon, ovvero l’antica religione del Tibet prebuddhista, testi di medicina, grammatica e astrologia. Importante sottolineare che Tucci si preoccupò anche di ricercare e raccogliere più testimoni manoscritti di uno stesso testo allo scopo di poter ricostruire filologicamente il testimone più attendibile.
Di grande interesse per la comunità scientifica orientalistica anche la raccolta di riproduzioni fotografiche di manoscritti sanscriti, individuati da Giuseppe Tucci durante le sue spedizioni in India, Nepal e Tibet tra il 1933 al 1949. Per alcuni di quei testi andati perduti, la documentazione fotografica è l’unica testimonianza rimasta a disposizione degli studiosi. Oltre alle riproduzioni fotografiche, 41 manoscritti su carta nepalese e in scrittura Devanagari, copie moderne di circa 150 testi della tradizione buddista, altrimenti sconosciuti.