Il Tibet è da sempre considerata una delle aree più inaccessibili al mondo. La sua particolare geografia unita alla potenza della natura, hanno reso molto difficoltoso l’accesso alla regione. Tuttavia sin dai tempi remoti, prima dei moderni treni e aerei e ben prima dell’apertura della Via della Seta, in queste alte montagne passava una strada che non solo univa la Cina al Tibet, ma al tempo stesso collegava il Paese di Mezzo con l’India e tutti i territori a lei circostanti. Questo vero e proprio canale commerciale internazionale della Cina antica aveva il suo punto di partenza nel cuore montano del Sichuan e, estendendosi a sud per oltre 3 mila chilometri, era conosciuta come la “via del té e dei cavalli” .
Questa antica via carovaniera, chiamata in mandarino “Cha Ma Dao”, si componeva di rami i quali, partendo da due regioni differenti della Cina, giungevano entrambe a alla medesima destinazione: Lasha. Il primo tratto partiva dallo Yunnan e dalle sue verdi piantagioni di té per riasalire verso Deqin, per poi entrare nello Xizang; l’altro ramo, invece, iniziava da Ya’An, cuore commerciale del Sichuan, per giungere, dopo 2350 chilometri, sul Tetto del Mondo. Successivamente da Lasha il tè coltivato in Cina prendeva la strada per l’India, Birmania e Nepal.
Leggende narrano che il té sia giunto per la prima volta in Tibet nel 641 d.C. allorquando la mitica principessa Wen Cheng della dinastia Tang fu data in sposa al re tibetano Songtsen Gampo, tuttavia i più recenti reperti archeobotanici trovati in una antica tomba nel distretto di Ngari anticiperebbero la presenza del té in Tibet già al II secolo a.C. . A conferma di ciò sono state anche rinvenute una maschera in oro, ricami cinesi, vasellame in ceramica e sete preziose tutte riconducibili a fattura cinese, inoltre sono state anche trovare traccie di germogli di té riconducibili a una varietà presente nello Yunnan, la stessa rinvenuta in una tomba cinese della dinastia Han risalente a 2.100 anni. Nonostante le perplessità, la letteratura è unanime nel ritenere che la leggendaria “Cha Ma Dao” cominciò ad essere percorsa con assiduità con l’avvento delle dinastie Tang (960 – 1279) e Song (960 – 1279), per prosperare sotto i Ming (1368 – 1644) e l’ultima dinastia dei Qing (1644 – 1912).
Nel mondo antico, dalla Cina alla Grecia passando per Mongolia e Persia, il cavallo non solo è alla base del concetto di potenza ma della sopravvivenza stessa dello Stato. In questo contesto, l’Impero Cinese era un paese agricolo, povero di pascoli e, per ciò, costretto ad importare cavalli piuttosto che addestrarli. Storicamente le popolazioni nomadi tibetane, insieme a quella mongola, avevano – ed hanno tutt’oggi – una grande tradizione nell’allevamento dei cavalli e abilità nelle pratiche legate all’equitazione. Pertanto il té divenne la principale merce di scambio tra la Cina e le popolazioni tibetane tanto che, secondo una tariffa, fissata nel 1074 dal’ “Agenzia del té e dei cavalli del Sichuan” a 60 chili di té pressato equivalevano a un cavallo; nel XIII secolo si barattavano tonnellate di té in cambio di circa 25.000 destrieri all’anno. Quindi gli scambi su questa tratta erano del tutto equi perché sia l’Impero che le popolazioni del Tibet abbisognavano di qualcosa che l’altro possedeva e che potevano essere scambiati: la Cina continentale aveva il tè, l’Altopiano i cavalli. Ai tibetani era quindi garantita una disponibilità di tè praticamente illimitata. Ancora oggi questa bevanda è elemento essenziale per il bilanciamento di una dieta quasi priva di fibre vegetali e al tempo stesso grassa e ricca di carne. La più famosa bevanda tibetana, il “po cha”, un misto di tè, burro di yak e sale, non sarebbe potuto nascere senza questo commercio per la “via della seta meridionale”.
Nella tradizione tibetana, così come il quella cinese, il tè è simbolo di ospitalità, calore domestico, un rito con il quale l’ospite viene accolto vicino al focolare, il centro della vita domestica, e si scongiura la mala sorte. Infine questa calda bevanda divenne un ottimo placebo per combattere le temperature rigidissime che si potevano trovare nei monasteri di alta montagna, pertanto, il rito del tè, divenne anche un momento fondante della vita monastica lamaista quotidiana.