UN SECOLO DI DOMINIO MONGOLO

  • by Redazione I
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  • 14 Giu 2024
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UN SECOLO DI DOMINIO MONGOLO, Mirabile Tibet


In un nostro articolo precedente, abbiamo parlato dell’Impero tibetano – dalla sua nascita alla sua massima espansione, grazie ai tre Re del Dharma. Ma cosa accade dopo? 

Le prime incursioni

Nel 1240, per ragioni ancora allo studio, il principe mongolo Godan Khan ordina “l’invasione” del Tibet. L’azione però è più una “spedizione”, fatta da soli trentamila uomini (molti meno, per esempio, dei duecentomila mossi durante l’Impero tibetano in una sola volta contro quello cinese). E sembra provochi cinquecento vittime e due incendi di monasteri, solo uno dei quali confermato dagli studi moderni. 

Secondo alcune fonti, l’espansione mongola si era scontrata con la frammentazione del Tibet – una terra ormai divisa in tredici unità politiche e spirituali, senza un governo centrale. Tant’è che lo stesso principe, per il primo tentativo di sottomissione, avrebbe invitato alla sua corte non un regnante alla pari, inesistente, bensì un Lama della scuola Shakya. Che nel 1244 convincerà tre monasteri a riconoscere l’autorità mongola e che nel 1247, sotto la minaccia di una vera invasione, accetterà la capitolazione di tutto il Tibet.

Morti i due protagonisti di questo primo patto, il successore di Godan compirà due attacchi. Ma andrà anche a patrocinare alcuni monasteri, fare loro dei sostanziosi doni e cercare – assieme agli aristocratici mongoli – le benedizioni dei Lama tibetani visti come più importanti. Assegnando però le terre tibetane ai propri parenti, tra i quali un fratello di nome Kublai.

Kublai Khan 

Figura leggendaria, per noi legata a Marco Polo. Che, in veste di ambasciatore del Grande Khan, viaggerà in Cina, in Birmania e nel Tibet. Dove le persone «vestono con grande povertà, poiché i loro abiti non sono altro che pelli di animali o tessuti di canapa» mentre i monaci – «che vestono con più decenza dell’altra gente» – «possiedono immense abbazie e monasteri, alcune grandi come borghi». 

Kublai Khan include il Tibet nei domini della dinastia della quale è fondatore – Yuan – ma separando le funzioni: politica, amministrazione ed Esercito all’impero mongolo, religione ai Lama. Il Paese viene dunque gestito da un Ufficio per gli affari buddhisti e tibetani, senza che l’impero interferisca nella legislazione locale. Nel 1260, Drögon Chögyal Phagpa – successore e nipote del Lama che aveva accettato la capitolazione – viene nominato “sacerdote reggente” o viceré del Tibet, investitura che renderà la scuola Sakya predominante. Il rapporto tra i due vedrà anche un tentativo di unificazione linguistica dell’impero, popolazioni cinesi e uigure incluse: il tentativo fallirà, ma la “scrittura Phagpa” influenzerà lo sviluppo di quella coreana.

La fine della sudditanza 

A quasi cento anni dal patto con la dinastia Yuan, il dominio Sakya viene rovesciato dalla ribellione di uno dei tredici condottieri locali, appartenente alla scuola Kagyu. Accettato dall’impero mongolo come nuovo viceré, il nuovo leader ottiene il governo di fatto del Tibet – ripristinando un’indipendenza che sarebbe durata per quattrocento anni. Dal palazzo di Nêdong nella valle del Yarlung, Changchub Gyalsten riorganizza il territorio, conferma l’impianto giuridico tibetano, riordina il sistema dei tributi fino a quel momento versati sia agli Yuan, sia ai Sakya, e sostituisce a corte gli abiti mongoli con quelli tradizionali locali.

Dieci anni dopo, anche i Yuan ricevono un colpo molto serio. In Cina, con la “rivolta dei Turbanti Rossi”. Così, mentre la dinastia fondata dal Kublai Khan si ritira sull’altopiano mongolo, il leader della rivolta fonda la sua e sale al trono come imperatore della Cina.

Inizia la storia del Tibet sotto la dinastia Ming.