Fino a non molto tempo fa la pittura rupestre buddista dell’Altopiano Tibet-Qinghai era relativamente sconosciuta all’interno dei circoli accademici specializzati nell’arte buddista. Recenti scoperte archeologiche effettuate nelle grotte all’interno delle aree di Dungkar e Piyang, situate nella Prefettura di Ngari nella Regione Autonoma del Tibet, hanno fatto luce su molte questioni circa questo tipo di arte, tanto che gli accademici ritengono gli studi portati avanti nei due siti come fondamentali per una reale comprensione dell’arte rupestre buddista nel suo insieme.
Partiamo quindi dal principio, esattamente verso la fine del XX secolo, sulla frontiera occidentale della Regione Autonoma, nella Contea di Zada. Qui le ricerche si soffermarono sui cosiddetti “templi delle grotte”, una quarantina di “pozzi” usati però dai fedeli buddhisti come luoghi di culto. Una caratteristica che è possibile ritrovare anche in diverse altre zone dove si diffuse il Buddhismo. Il bacino di Zada, oltre ad essere formato naturalmente da gole e precipizi, presenta infatti le medesime costruzioni “a grotta” dei siti presenti a Dunhuang (Gansu) e nello Xinjiang.
Le cavità sembrano essersi formate in un mix di conglomerato e altre rocce sedimentarie, e furono intenzionalmente coperte di erba e fango prima di essere ricoperte con calce bianca e dotate di affreschi e statue buddiste. Questo corrisponde al metodo esatto trovato, ancora una volta, nello Xinjiang e Dunhuang. Questi “templi della grotta” erano in realtà costruiti e finanziati dagli aderenti al buddismo, ed era lì che questi credenti si recavano per adorare e rendere omaggio ai loro Buddha; in particolare a un Bodhisattva noto come Avalokitesvara (il cosiddetto “Budda della Compassione” -NdT-) e altre figure legate al buddismo. Questo è il motivo per cui gli affreschi in particolare sono piuttosto ricchi di composizione e straordinariamente belli nell’aspetto, dipinti usando minerali locali come pigmenti.
Per mantenere la consistenza, i pigmenti sono stati anche miscelati con una pasta a base di ossa di animali, il che ha permesso ai colori vivaci sono di essere preservati e di non sbiadire dopo le numerose tempeste di sabbia che hanno colpito l’altopiano. Oltre ad Avalokitesvara e ai numerosi Buddha raffigurati, gli affreschi mostrano anche monaci, mandala, che simboleggiano il vasto cosmo, allungarsi attraverso la sezione centrale del muro, ma sotto vi sono griglie per le immagini che raffigurano la vita di Shakyamuni dalla sua nascita fino alla sua morte.
Ci sono anche diverse pitture che mostrano coloro che hanno donato fondi o fornito supporto per la costruzione della grotta. Sono, per la maggior parte, membri delle famiglie nobili di Guge, ed il dato a verifica di ciò sono gli indumenti con i quali sono stati rappresentati questi mecenati. Le loro lunghe vesti, i colletti triangolari, i larghi cappelli di feltro a tesa larga e gli stivali di pelle alti sono tutti elementi del popolo Guge. Tutti sono a cavallo o seduti su carri e mostrano vestiario con lussuosi motivi decorati, a indicare importanza e ricchezza.
A parte queste caratteristiche. l’unica parte dell’affresco della grotta di Dungkar che colpisce maggiormente è il soffitto. Un cerchio descritto da quattro draghi e otto pavoni, una tigre che insegue un gregge di pecore: il dettaglio di ogni rappresentazione è estremamente vivido e vario e dona una forte sensazione esotica all’intera scena. Secondo i concetti fermamente fissati della struttura buddista, gli uomini di forza insolita raffigurati su questo affresco avevano uno status abbastanza basso, spesso servendo da guardiani per i costruttori di grandi templi e monumenti. Raramente avevano un modo standard di essere ritratti e gli artisti godevano di molta libertà quando dipingevano spesso figure del genere. Se le abilità degli artisti si mostravano alte e loro avventurosi nel loro mestiere molta tipicità culturale e geografica poteva venire portata nel loro lavoro e questo è molto evidente qui alla Grotta di Dungkar, con figure di uomini di forza insolita assolutamente originali.
Questi personaggi possono essere trovati attorno all’intera struttura. I loro gesti sono esagerati, quindi straordinariamente vividi. Alcuni hanno il petto nudo, con cinture strette in vita, e si afferrano le gambe piegandosi in avanti; se qualcuno dovesse sedersi e prendere nota attentamente di ogni singola rappresentazione dei questi uomini forzuti dipinta nella grotta di Dungkar, osservando attentamente i loro vestiti, le apparenze e persino le acconciature potrebbe formarsi un’idea molto chiara di come gli artisti che le hanno realizzate vedevano gli appartenenti di altre culture dell’Asia centrale e meridionale. Questo non è sicuramente lo stile artistico tipico di Ngari. L’idea su cui gli studiosi si sono accordati é che questo affresco sia stato realizzato durante l’XI e XII secolo. un tempo in cui il Tibet occidentale era fortemente influenzato dalla cultura artistica buddista proveniente dal Kashmir, che era indicato come il Regno di Wa Na Zhang nella letteratura dell’era Tang.
Il Kashmir è una valle in Pakistan e un tempo apparteneva a un antico regno noto come Ghandara. Durante il Regno Tubo, il Tibet accolse un maestro di una forma esoterica di buddismo, Padmsambhava, che si diceva provenisse, appunto, dal Regno di Wa Na Zhang. La regione dello Swat era prossima al Tibet sia come posizione geografica, e tramite forti corridoi commerciali vi veicolava influssi artistici e culturali che passavano per Gilgit e Ladhak e arrivavano fino all’Asia Centrale. Il famoso orientalista italiano Giuseppe Tucci nelle sue opere notava che Gilgit, in particolare, aveva avuto una forte influenza culturale sul Tibet, ben da prima del 14esimo secolo.
Questa ricchezza di influssi e di apporti culturali spiega più che bene l’eclettismo e la raffinatezza delle pitture rupestri di Dungkar, tanto più che nella pur breve biografia del famoso traduttore tibetano Rinchen Sampo si trova menzione del fatto che egli ricevette dal Re di Guge il compito di portare in Tibet 21 abili artigiani Kashmiri per contribuire alla decorazione e all’abbellimento di templi e pagode.