Chi non ha mai sentito parlare dello Yeti? L’abominevole “Uomo delle Nevi” che infesta le vette dell’Himalaya? Sapevate che per i tibetani esiste uno Yeti buono ed uno malvagio? E ancora, tanti i templi che dicono di custodire reliquie dello Yeti. Oggi cerchiamo di fare chiarezza su un mito che, incredibilmente, ha un appeal incredibile nel mondo.
L’ Abominevole Uomo delle Nevi
Quando si pensa allo Yeti, l’immagine che viene in mente è quella di un grosso e alto uomo-scimmia, con peli lunghi e dotato di acuta intelligenza se non addirittura di poteri paranormali, che si nasconde sulle alte montagne himalayane tra Nepal e Tibet.
Il mito dello Yeti ha stimolato la curiosità occidentale tanto da entrare persino nel nostro immaginario. L’interesse nella questione era talmente grande che nel 1958 il governo nepalese dichiarò lo Yeti una specie protetta, e sancì l’illegalità di cacciarlo o cercare di catturarlo senza una speciale licenza dal costo di 700 £.
Folklore o realtà? Il nodo delle reliquie
Lo Yeti è parte dell’immaginario del folklore dei popoli himalayani in Nepal, Tibet e Bhutan. Esso è caratterizzato mitologicamente come una specie di «Bigfoot», con vari analoghi in altre parti del mondo.
E’ soprattutto tra il popolo Sherpa che lo Yeti è importante. E’ usuale nei monasteri tibetani di etnia Sherpa che vengano custodite reliquie attribuite allo Yeti (ossa, cuoio capelluto, etc) o che vengano esposte delle thangke con la sua immagine. Tutti, tra gli sherpa, hanno una storia di raccontare su qualche loro conoscente (o loro stessi) che ha avuto un avvistamento dello Yeti.
La leggenda tibetana
La leggenda più comune sull’origine dello Yeti racconta di una donna tibetana che si perse nella foresta e venne rapita da una grande scimmia che, unendosi a lei, generò un figlio metà uomo e metà scimmia, lo Yeti appunto.
Alcuni, poi, collegano l’origine mitologica dello Yeti alla famosa leggenda sulla nascita del popolo tibetano, secondo la quale i progenitori delle sei tribù tibetane nacquero dall’unione di una orchessa (sinmo) ed una scimmia.
Due tipi di Yeti
Possiamo citare due tipi di Yeti. Il primo è tendenzialmente considerato malvagio. Chiamato nyalmo in tibetano, è alto, feroce e pericoloso. Spesso viene ritenuto essere femminile. Molti tibetani e nepalesi sono estremamente spaventati da questo tipo di Yeti, incline ad uccidere gli esseri umani e mangiarne il cervello; anche la sua semplice vista può indurre malattie.
I bambini sono particolarmente spaventati, a causa della scusa che utilizzano i genitori per vietare loro di fare qualcosa, tipo “Non andare la, altrimenti lo Yeti ti prende e ti mangia”.
La religione Bön
Il secondo tipo di Yeti è tendenzialmente di piccole dimensioni, chiamato a volte rimi, chute o ringshi bombo (quest’ultimo termine ne rivale l’origine nella tradizione Bön). E’ di piccole dimensioni e solitamente maschile. Hanno peli rossastri, bianchi o dorati che coprono il loro corpo, gambe corte e la faccia rugosa. Attaccano solo se provocati, tendenzialmente sono vegetariani e benevoli, ma scendono nei villaggi a rubare latte, cereali e farine. Tra i tibetani e nepalesi infatti “Fare lo Yeti” spesso significa essere un ladro.
Si crede che lo Yeti possegga poteri psichici e spirituali eccezionali. Viene in aiuto degli Yogi e può essere invocato per proteggersi dalla stregoneria. Può vedere e sentire a lunghe distanze, trasformarsi nella forma di qualunque animale e compie rituali sciamanici durante la luna piena.
Degli animali che uccide cacciando ne controlla le interiora a scopo divinatorio, come fanno gli sciamani. Questi elementi lo portano ad essere identificato nel Ban Jhankri, divinità uomo-scimmia delle tradizioni sciamaniche nepalesi.
La saga Buddhista
In un racconto buddhista si dice che i poteri dello Yeti gli vennero donati dal Buddha, dopo che lo Yeti gli offrì un frutto.
Lo Yeti, anche quando integrato in un contesto completamente buddhista (nei monasteri sherpa, oppure – ad esempio – quando compare in certe opere sacre teatrali tibetane), deve essere considerato ciò che resta di una antica divinità del Bön prebuddhista tibetano.